“Chesaramai è la mia personale etica della capacità di risposta.
La sua presenza diffonde sull’esistenza una patina di sopportabilità alla quale non ci si riesce più a sottrarre. Cos’è questa patina? È la superficialità che si è fatta elemento positivo, che è diventata una chiave interessante per saper stare al mondo. È diventata un vestito che posso indossare per uscire e andare a vedere che cosa accade in giro, come stiamo noi dentro la vita pubblica, cosa ci succede in relazione a quello che accade lì fuori. Ed è diventato il sistema grazie al quale poi, tornando a casa, si riesce a rielaborare tutto ciò che accade, che sembra sopraffarci, e lo si trasforma in una sola, decisiva parola: sopportabile”.
Francesco Piccolo, Il desiderio di essere come tutti – all rights reserved
Di quello che scrive Francesco Piccolo mi colpisce sempre la stessa caratteristica: il sapore di sincerità, di sentimenti ed emozioni autentici.
Così accade anche per questo libro, autoritratto di un’intera generazione, quella che nel fatidico 1968 c’era già ma non aveva voce in capitolo, la cui vita però è stata tutta segnata da conquiste e sconfitte di quel decennio conclusosi sanguinosamente con la morte di Aldo Moro, il 9 maggio 1978, dall’aria che in quegli anni si respirava e da quella che si respirò dopo. Una lettura che consiglio non soltanto a chi di quella generazione fa parte, che può riconoscersi negli stessi smarrimenti, ma anche, se non soprattutto, a chi è venuto dopo, a chi ci guarda talvolta con sufficienza, talvolta con sospetto, in ogni caso senza quasi mai comprendere il percorso che ci ha portati a essere quello che, nel bene e nel male, siamo. Eventi epocali che si intrecciano ai fatti minuti della vita privata, tappe della inavvertita costruzione della nostra identità in un Paese che cambia e ci cambia. Ed è solo voltandoci indietro, afferrando i fili della memoria e ripercorrendo queste tappe fondamentali, che ci rendiamo conto di quanto grande sia il cambiamento, dentro e fuori di noi. Se per i più giovani il libro di Francesco Piccolo può costituire una buona occasione per sapere qualcosa di quegli anni attraverso la testimonanza partecipe di chi c’era, per noi coetanei dell’autore, o giù di lì, la rievocazione di come eravamo serve a immergerci in un amarcord individuale e collettivo. Per ricordarci come siamo arrivati qui. Per capire se ci restiamo, qui, per inerzia, perché non sapremmo dove andare, o per scelta, come Francesco Piccolo ci dice nella chiusa del suo libro: “Insomma, io non mollo mai. Quelli che decidono di andarsene da questo Paese, o semplicemente dicono per tutta la vita di volerlo fare, è perché si vogliono salvare. Io invece resto qui. Perché non mi voglio salvare”. Come la Katie di Come eravamo, che non molla mai, come Hubbell le dice “con ammirazione, dopo che si sono salutati con imbarazzo e affetto. Sa che, alla fine, chi tra loro due è migliore, è lei. Che ha conservato, dentro la testardaggine dell’impegno politico, la sua giovinezza”.
Rosalia Messina