L’emozionante sensazione di una lampadina che si accende per la prima volta: bastava spostarsi un po’ più in là, tutto improvvisamente è diventato chiaro, evidente, nuovo. L’emozione gigantesca della scoperta, o del lampo di genio: perché capire o apprendere portano in dote la stessa forza, quel qualcosa che ti rende improvvisamente possente, enorme, invincibile. Lo so, ho capito: e tutto è più piccolo, mentre tu cresci di comprensione e di statura!
Insomma, oggi parliamo di tre libri uno più bello dell’altro, che vi faranno sentire colossali, vi rimetteranno al mondo, vi daranno una spinta ai sentimenti tale che ne uscirete con qualche brivido.
La prima volta che sono nata, Vincent Cuvellier e Charles Dutertre (traduzione di Paola Balzarro, Sinnos)
Su una facciata, una prima volta raccontata; su quella a fianco, il disegno. La prima volta che ho aperto gli occhi ho pianto, poi delle mani mi hanno posata fra due montagne di latte. La prima volta che mi hanno fatto una coccola, non riuscivo a distinguere chi fosse a farmela, ma volevo durasse a lungo: e per fortuna è durata a lungo. La prima volta che ho sentito della musica, non era la prima volta: quel cordone ombelicale a forma di chiave di Sol la dice lunga. La prima volta che ho suonato la tromba, non era una tromba: quel faccino paonazzo con le trecce che soffia nel violoncello parla chiaro. E poi la prima volta che ho visto il mare, che ho messo un reggiseno, che un ragazzo mi ha baciata e che mi ha lasciata, la prima volta che ho visto lui, e la prima volta che ho visto te nel monitor, e a quel punto io ero diventata il mare e tu il pesce.
Non esiste essere umano sulla faccia della terra che non piangerà leggendo La prima volta che sono nata: se conosceste mai qualcuno che vi confesserà di essere riuscito a sfogliarlo tutto senza piangere, beh, statene alla larga. Non si sa se siano più le situazioni raccontate (un applauso a Paola Balzarro per la traduzione!) o le immagini che le illustrano, a commuovere – o a far sorridere: “la prima volta che ho pregato, ho aspettato per tutta la notte che qualcuno mi rispondesse” recita una delle più divertenti, e il broncio davanti a un telefono dal cavo attorcigliato è semplicemente geniale. I disegni sono semplici, corposi, ricordano la Satrapi ancora più caricaturale; i testi sono un manuale di contenuto veicolato con il minimo indispensabile. Un libro così non ha età, ha solo tanto cuore – offerto e solleticato. Sapere che al mondo c’è chi è in grado di mettere insieme una simile meraviglia riappacifica con l’umanità. Davvero, grazie.
Papà aspetta un bimbo!, Frédérique Loew e Barroux (traduzione di Piermaria Mazzola, Settenove)
Un caro amico, fresco neo papà, fino al giorno del travaglio incluso commentava quotidianamente su Facebook COMUNQUE IO STO BENE, GRAZIE: un gioco che mi ha fatto ridere moltissimo, anche perché senza scendere nei dettagli comincio ad afferrarne il messaggio in tutte le sue sfaccettature. Ma insomma, a prescindere da questo. È una casa editrice freschissima, Settenove, nata da qualche mese con l’intento di formare giovanotti ed adulti scevri da sessismi e guerriglie di genere: pronti via e sugli scaffali arrivano subito cinque titoli, di cui uno è Papà aspetta un bimbo!. Testoline e corpicioni, colori sparatissimi con un tratto svolazzante e giocherellone, dichiarazioni d’amore a tutto e tutti: alla mamma che s’arrotonda, al mondo, a te che stai arrivando e al tuo cuoricino che TU-TU-TUMP TU-TU-TUMP. E faccio sport per essere il più forte dei papà, mentre invento favole piene di pirati e principesse per allenarmi… però ogni tanto mi sento un po’ solo, perché la pancia abitata non è la mia che al massimo gorgoglia di fame. Posso solo sognare: come sarai? Che nome ti darò? A chi somiglierai? Intanto vado alla scuola per papà, i pannolini non avranno più segreti: e infine arriverai, e sarai il regalo più bello del mondo. Ti guarderemo con le nostre testoline adoranti, tra capelli arancioni che fiammeggiano e maglie a righe su pavimenti a quadrettoni: da oggi sono il più felice dei papà… così come tutti gli altri su questo pianeta, per fortuna. In bocca al lupo!
Oggi sono felice ma anche un po’ triste, Marco Barra, Emanuela Nava e 27 bambini (Carthusia)
Marco Barra è il Dottor Marco Barra, psicologo che per due anni ha chiesto a quasi seimila bambini cosa li renda felici o tristi. La Fondazione Giovanni Goria ha finanziato il progetto, Emanuela Nava ha raccolto il materiale selezionando una trentina di disegni dei bambini legandoli insieme con una storia importante e leggera insieme. Da questo cantiere è nato il volume che ha per autori gli stessi bambini, con le loro emozioni e tutto quel che ne consegue – dai refusi agli slanci di sincerità. Non è una cosa banale, chiedersi cosa ci deprima e cosa ci esalti: infatti le risposte dei più piccoli non sono affatto scontate. Sono felice se posso picchiare la batteria del mio maestro di musica, sono triste quando sono ammalato (ma sono anche felice, perché chi mi vuole bene mi sta vicino), mi rende felice quando leggo un libro con il mio gatto vicino, mi intristisce litigare con la mia migliore amica: scorri le pagine e capisci che alla fine potrai crescere quanto vuoi, addirittura invecchiare, ma le gioie e le delusioni della vita sono sempre le medesime – sei tu che ti corazzi, rimpicciolisci il cuore, ti distrai, punti più in alto.
Come tutti i volumi di Carthusia, Oggi sono felice ma anche un po’ triste è importante per tematiche e per sollecitazioni: leggetelo ai bambini di cui vi prendete cura e ragionateci insieme, ponendovi le stesse semplici domande. Io dico che resterete stupiti da come ne uscirete meno sconosciuti, l’uno per l’altro e ognuno rispetto a se stesso.