“L’amore è l’unica forza capace di trasformare un nemico in un amico”.
Martin Luther King Jr. aveva trentanove anni quando un cecchino gli sparò mentre parlava dal balcone di un motel a Memphis. Aveva iniziato il suo percorso sperando di diventare un predicatore battista, ma “quando morì, nel 1968, aveva condotto milioni di persone ad abbattere il sistema della segregazione razziale del Sud”, lasciandoci in eredità la speranza che “l’amore, la verità e il coraggio di fare ciò che è giusto”, potessero essere il faro del nostro cammino.
Con queste parole Coretta Scott King, introduce il libro che racchiude i discorsi dell’uomo simbolo della lotta Afro-Americana per i diritti civili. Una raccolta, “Il Sogno della non violenza” (edito Feltrinelli, 2013), in cui si racchiudono alcuni dei discorsi più incisivi del leader del movimento che ha scosso le fondamenta dell’America razzista. Dagli appelli alla comunità degli uomini, al più celebre “I Have a Dream”, tenuto al Lincoln Memorial nel 1963. I discorsi di King riassumono la dedizione di una vita consacrata alla rivoluzione. Una rivoluzione certamente difficile, che ha fatto pressione sulla necessità di un’educazione adeguata, attraverso la quale la popolazione nera potesse trovare le parole adatte per rivendicare una dignità calpestata, in un’America in cui le radici della segregazione razziale sono state, negli anni, nutrite dall’ignoranza del Sud, estendendosi in forma meno palese, ma altrettanto agghiacciante, fino al Nord America. Fu dopo il discorso tenuto nell’agosto del 1963 al Lincoln Memorial che King incontrò John F. Kennedy alla Casa Bianca, perché il dialogo, continuo e incessante, doveva essere il mezzo principale attraverso cui ottenere ascolto. La violenza non paga, la violenza perpetua la disuguaglianza e rende inutile la lotta. Sono queste le basi del pensiero di Martin Luther King che, dopo aver studiato il pensiero di Gandhi, viene folgorato da un’illuminazione. Finalmente ha davanti la risposta alla domanda di riforma sociale che stava cercando.
Una riforma necessaria, perché fino a quel momento l’America ha tradito il suo sogno. La promessa della ricerca della felicità si è distorta, ritorcendosi contro parte di quella stessa popolazione che aveva aiutato la minoranza bianca a costruire una terra di promessa e speranza. Sposando la politica del “manifest destiny”, l’uomo bianco si è costruito un mostro su cui rigettare le proprie paure, il suo opposto, l’altro come incarnazione della parte oscura della propria anima. Lo ha costretto alla povertà, umiliato, privato dei suoi diritti, e segregato in un angolo lontano dallo sguardo. Una ronda di uomini nascosti da un lenzuolo bianco, come fantasmi invasati da una deviata volontà divina, il Klu Klux Klan, li ha torturati, appendendoli agli alberi, castrandoli, violentando le donne, dando fuoco alle loro case- spesso ancora abitate.
Ma Martin Luther King Jr. aveva ben presente quale fosse il rischio di una reazione violenta a questa provocazione. Non solo reagendo con la stessa moneta la popolazione nera avrebbe perso il senso di umanità, ma più di tutto, King coglie un elemento fondamentale, che spesso ricorre tra le parole dei suoi discorsi: gli uomini, a qualunque razza appartengano, sono legati tra loro indissolubilmente, se uno resta indietro, è una colpa che trascina dietro tutti.
“La comprensione tra le razze, così come la vita, non è qualcosa che troviamo già pronto, bensì qualcosa che dobbiamo forgiare”. Ripetendo queste parole Martin Luther King Jr. va incontro al suo destino. Una raccolta intensa, per certi versi profondamente attuale, che ricorda la misura della forza delle parole. Rivoluzionarie quanto una battaglia.