Resistenza: una parola che racchiude, per chi l’ha vissuta in prima fila, il senso di una vita. Così è stato per Beppe Fenoglio, lo scrittore di Alba che si è diviso tra letteratura e politica.
Autore di numerosi scritti (in forma soprattutto di racconti e romanzi), si arruolò tra i partigiani, dapprima in un gruppo comunista e poi in formazioni monarchiche: un’esperienza che l’avrebbe cambiato per sempre, che segna in modo irreversibile la sua vita e che diventa il leitmotiv costante della sua produzione letteraria. I ventitre giorni di Alba, Primavera di bellezza e Il partigiano Johnny ruotano, con sfumature diverse, attorno all’esperienza assoluta della Resistenza, che si trasforma – nero su bianco – in pagine di ricordi personali e invenzioni narrative che inseguono quasi ossessivamente il senso di quella realtà.
Ma la critica ha unanimamente riconosciuto in Una questione privata il romanzo più compiuto e perfetto che Fenoglio abbia scritto sulla Resistenza italiana.
Giuntaci in tre redazioni, l’ultima delle quali apparve poco dopo la sua morte – nel 1963 – l’opera presenta la tragica storia di un nuovo personaggio di partigiano delle Langhe, Milton (nome di origine inglese e di chiara ascendenza letteraria, già presente in un altro frammento). Una questione privata sprigiona un mondo di straordinaria tensione, in cui l’autore sembra voler sottolineare più la sfera personale ed esistenziale, rispetto a quella ideologica e politica, che le fa da sfondo. L’intento di Fenoglio è rappresentare la Resistenza per ciò che è stata realmente, lontano da fini celebrativi o moralistici: una realtà dove trionfano la morte, la violenza, la disperazione e la solitudine.
Celebre il giudizio che del capolavoro di Beppe Fenoglio ha dato Italo Calvino nella prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno: l’opera viene addirittura accostata all’Orlando Furioso per “la geometrica tensione […] di follia amorosa e cavallereschi inseguimenti”; e soprattutto vi è l’elogio della rappresentazione della Resistenza, “vera come non mai era stata scritta”.
A centro del romanzo si erge la figura di Milton, partigiano-studente amante della letteratura inglese, che durante una visita ad una villa in cui ha frequentato e amato Fulvia, si abbandona ai ricordi del passato, prima di essere bruscamente riportato alla realtà dalla notizia della relazione tra l’amata Fulvia e l’amico Giorgio. Mosso dalla cieca e assurda volontà di sapere cosa sia effettivamente accaduto tra i due, Milton inizia a cercare Giorgio, che – anch’egli partigiano – è stato però fatto prigioniero dai fascisti. Il protagonista cerca di catturare un fascista per poterlo scambiare con Giorgio: vi riesce, ma poi è costretto a uccidere il prigioniero stesso. E mentre marcia nuovamente verso la villa di Fulvia, Milton viene mortalmente ferito dai fascisti: è la chiusura del romanzo, con le parole finali che sanciscono il “crollo” dell’eroe.
Un eroe naturalmente sui generis, perchè Milton non fa altro che ricercare la sconfitta, spinto da una cieca volontà di conoscere ciò che in realtà già sa. È un’ossessione sensa senso. Come la Storia, come la Guerra. È una ricerca che può approdare solo al nulla e alla morte.