La perdita di identità di un’intera classe sociale, quella borghese; la denuncia di un’umanità fatta solo di maschere e ipocrisia; il trionfo dell’apparenza, la vacuità dei riti sociali e delle occasioni d’incontro pubblico.
Sono queste alcune delle tematiche classiche della letteratura italiana del XX secolo, oggetto di romanzi, poesie, saggi e riflessioni che hanno scandito la gloriosa storia della produzione letteraria del nostro Paese.
Tanti i nomi – illustri per la maggior parte – che hanno fatto di questi temi i fulcri dei loro capolavori: tra questi, vi è anche Carlo Emilio Gadda, l’ “ingegnere” milanese che con la sua scrittura si è ritagliato un posto di prestigio nel cuore del Novecento.
L’autore de La cognizione del dolore approfondisce – nel corso degli anni ’30 – il suo esemplare espressionismo e plurilinguismo in testi che si pongono l’obiettivo di rappresentare momenti della vita milanese, in particolare con una cruda e cinica aggressività nei confronti del mondo borghese, delle sue abitudini e delle sue ipocrisie. Alcuni di questi testi trovano probabilmente la loro genesi in un progetto di romanzo del 1934, intitolato Un fulmine sul 220; progetto, però, ben presto abbandonato. I racconti, dunque, vengono pubblicati singolarmente tra il 1938 e il 1943, e solo in un secondo momento organizzati (in gran parte) in un volume dal titolo L’Adalgisa. Disegni milanesi (apparso nel ’44 e pubblicato poi da Einaudi nel ’55).
Tra i dieci pezzi che costituiscono l’opera, il nucleo essenziale è rappresentato da sei racconti legati da varie corrispondenze interne e rivolti, appunto, alla rappresentazione della media borghesia milanese: Quando il Girolamo ha smesso…; Quattro figlie ebbe e ciascuna regina; I ritagli di tempo; Un “concerto” di centoventi professori; Al Parco, in una sera di maggio e L’Adalgisa.
L’umanità che lo scrittore porta sul palcoscenico è fatta di maschere. Violente, volgari, che si accapigliano tra di loro e che dietro il formale culto dell’onestà, del decoro e del lavoro nascondono una realtà sordida, dove trionfano la falsità, la stupidità, l’animalità, l’apparenza. E proprio al lessico dell’animalità, della bassa corporeità e della sporcizia appartengono numerose immagini dei racconti di Gadda.
Il tutto è condito da un impasto linguistico di stampo fondamentalmente toscano, ma che si compiace di frammenti di dialetto milanese, che fanno la loro comparsa non solo nei dialoghi tra i personaggi, ma nella stessa narrazione.
Storie, frammenti di vita, cornici narrative, con le ultime due che ci portano in scena la protagonista da cui trae il nome la raccolta. Dove, più che mai, trionfa con beffarda ironia la convenzione sociale. Perfino nel rito della morte.