Quando i Mendel salirono le scale sentirono che c’era qualcosa che non andava. Era qualcosa nell’aria, una sensazione ed un odore, il presentimento che di lì a poco qualcosa sarebbe cambiato e la puzza di guai.
Quando il signore infilò la chiave nella toppa capì: quella porta era già stata aperta. Dunque sfilò le chiavi e spinse delicatamente la porta, che si aprì come se fosse rimasta socchiusa per tutta la sera.
Davanti ai loro occhi: l’inferno.
Le tende del salone erano tutte strappate, come se un gatto si fosse aggrappato ad esse più volte e si fosse poi lasciato andare, fino a toccare il suolo.
Il tavolino – “oh no, proprio quel tavolino?”, urlò la signora non appena notò la fine che fece – era completamente scheggiato. Un bel tavolino, il migliore che avessero mai avuto, tutto in vetro con un bel vaso di rose fresche sopra. Non ci poggiavano altro, sopra, per paura di danneggiarlo. E tu invece guarda che fine aveva fatto.
Increduli, le mani nei capelli (il signore Mendel non ne aveva, a dire il vero, ma era per rendere l’idea) e singhiozzi di dispiacere bloccati in gola, i due si diressero in cucina. Anche lì: disastro.
I piatti frantumati a terra, la credenza dalle ante spalancate, il lavandino lasciato aperto e il mobiletto con le confezioni di pasta e sughi pronti era senza maniglia.
Lo stesso caos regnava nella camera da letto (i cuscini come sbranati da un cane, con tutte le piume sul pavimento in legno; il portagioie che conteneva gli orologi del signore e le collane e gli orecchini della moglie vuoto – si erano portati via persino il coperchio, brutti bastardi; le tende avevano fatto la stessa fine di quelle in salone) e nel bagno (la carta igienica per terra, i barattoli di bagnoschiuma e shampoo dentro il water).
Un dispetto, insomma. Ladri, sì, quello è chiaro. Ma un dispetto. Non si è trattato di un semplice furto, altrimenti avrebbero potuto benissimo rubare gli oggetti preziosi e scappare a gambe levate. Ma allora perché le tende così malconce, la carta igienica a terra, i piatti di ceramica in mille pezzi?
Il signor Mendel raggiunse il salone e afferrò il cordless, tremante dalla rabbia e dallo spavento, con ancora addosso il cappello ed il lungo impermeabile nero. Non ci voleva, proprio non ci voleva. La segretaria che gli aveva detto no (non lo aveva mai fatto, lei; ogni volta che le metteva le mani sulla coscia lei sorrideva come una stupida, e subito lo raggiungeva nel suo studio. Ma quel giorno no, si era rifiutata! Lei aveva rifiutato lui! Roba da matti!) , la pioggia che scendeva senza sosta da tutto il giorno…e adesso la casa sembrava un accampamento di zingari.
Chiamò la polizia.
La moglie non aveva detto più nulla da quando aveva visto il suo bellissimo tavolino in vetro tutto scheggiato. Si era limitata a sgranare gli occhi, a non piangere davanti alla sua bellissima casa ridotta ad uno schifo. Ma non aprì più bocca.
“No, voi non mandate qualcuno il prima possibile, voi lo mandate adesso!”, urlava il signor Mendel al telefono, mentre si toglieva il cappello e poi lo appoggiava su una sedia. Era furioso. La moglie non poteva vederlo perché le dava le spalle, ma poteva immaginare gli occhi rossi di rabbia e le guance in fiamme.
Ormai da quanto erano sposati, venticinque anni? Trenta?
Lo conosceva fin troppo bene…
In silenzio si tolse la pelliccia e la ripose nell’armadio, facendo per un attimo finta che la camera da letto fosse rimasta integra, come se nessun ladro fosse mai entrato lì.
Poi raggiunse la cucina e china sul pavimento, facendo attenzione a non tagliarsi, raccolse uno per uno i cocci di ceramica che erano a terra, e poi aspettò che arrivasse qualcuno a chiederle se si sentisse bene.
No, non si sentiva per niente bene. Il suo bellissimo tavolino era stato danneggiato.