Con il Natale da poco trascorso e i Re Magi ancora in viaggio per omaggiare il Bambino Gesù con i “sempre di tendenza” oro, mirra e incenso, viene quasi automatico pensare ai sentimenti che avvolgono l’idea della famiglia, in generale, e della maternità, in particolare.
Ma in tutto questo che ruolo ha la paternità? Il povero Giuseppe se ne sta lì, nella casetta del presepe, col peso dei suoi anni, ad osservare il miracolo, che avviene sotto i suoi occhi e di cui è protagonista la Vergine Maria, senza proferire parola, quasi inconsapevole, spesso con la faccia compassata dell’attore non protagonista, come se il suo ruolo di padre fosse solo marginale, la parte, poco significativa, di un tutto.
Forse proprio per questo, qualche anno fa ormai, abbiamo assistito alla produzione di fiction e film per la televisione che hanno cercato di narrare la storia più famosa di sempre dal punto di vista di Giuseppe, provando a ritagliargli un ruolo che non fosse poi così marginale, o solo di facciata, e ridandogli, se vogliamo, anche una certa dignità di uomo e di santo.
Ma se non siete amanti del genere televisivo e Diego Abatantuono e Alessandro Gassmann non vi hanno troppo convinto nel ruolo del famoso falegname oppure, come me, ritenete che non sia sufficiente qualche metro di pellicola per riportare in equilibrio l’ago della bilancia che pende vistosamente dal lato della maternità più che da quello della paternità, allora facciamo un esperimento.
Chiudiamo gli occhi e proviamo a pensare ad un dipinto, un affresco, una scultura nella storia dell’arte italiana che sia l’esaltazione del sentimento della paternità.
Non vale se con la mano coprite la Madonna onnipresente in ogni epoca e stile, abbigliata con tuniche e cappe di qualsiasi foggia e colore.
Allora? Non vi viene in mente niente? State sereni. Non siete i soli.
“I pittori italiani non hanno trovato colori e sentimento per la paternità degli uomini. Solo per quella di Dio. Il loro Giuseppe è un vecchio casto e canuto, e col bambino in braccio c’è sempre la Madonna. È la maternità che celebrano, e che li commuove. “ scrive Melania G. Mazzucco.
La pluripremiata e pluritradotta autrice italiana, innamorata dell’arte come pochi, è uscita da pochi mesi con il suo ultimo lavoro Sei come sei, un romanzo incentrato su una paternità “eccezionale”, quella di una coppia gay, che contiene qualcosa che è ben più di una citazione artistica essendo proprio la visione di un dipinto di un artista spagnolo del Seicento a incorniciare il momento della concezione (così s’intitola il capitolo dedicato a questo importante passaggio) di quel figlio che poi sarà una figlia, Eva, tanto desiderata e amata dai dei due protagonisti della vicenda: Giose Autunno, ex cantante punk rock, con poche canzoni di successo alle spalle, negli anni Ottanta, quando si faceva chiamare Yuma, e Christian Gagliardi, serio ricercatore universitario, padre biologico di Eva, che perderà la vita successivamente alla nascita della bambina, in un tragico incidente stradale.
Il dipinto di cui si parla è San Giuseppe con Gesù (1645) di Francisco de Herrera the Helder, irrequieto e contraddittorio pittore dell’epoca d’oro dell’arte spagnola, rappresentata magnificamente da Velàsquez e Zurbaràn. Un dipinto pressoché unico nel suo genere, non solo per il soggetto ma anche per la semplicità e la tenerezza con cui è rappresentato il rapporto padre-figlio. Quando Christian lo vede riconosce in quella figura quella dell’amato Giose.
“Nessuno dei due aveva l’aureola. Per lui erano solo un padre, ancora giovane, nemmeno quarantenne, coi capelli lunghi e la barba scura insieme a suo figlio, riccioluto e biondo. Non si somigliavano. Non avevano lo stesso sangue.”
È la dimostrazione, in chiave pittorica, che il sentimento di paternità va oltre il legame di sangue e che è un sentimento che ogni uomo ha diritto a vivere, nel modo che gli è più congeniale. E, se lo desidera, a prescindere dall’orientamento sessuale. Almeno così piace pensare ai protagonisti della vicenda.
“Quella sera, nell’albergo di Budapest affacciato sul Danubio, dove sotto l’acquerugliola scivolavano semivuoti i battelli illuminati dei turisti, dopo molti mesi lui e Christian avevano fatto l’amore. Con un trasporto e una passione che credevano spenta per sempre. E avevano deciso di trovare un modo per fare un figlio. Loro due, da soli. Senza una madre. Poiché in Italia era vietato, in un altro paese. Ci sarà pure un posto anche per noi, sulla terra. Chi dei due lo avrebbe fatto non sapevano ancora, non sembrava importante.”
La storia dell’undicenne Eva e della lotta di suo padre Giose, considerato inadatto ad educarla, per tenerla con sé, si svolge “nell’anno zero”.
Forse la sensibilità di una scrittrice, un buon romanzo, un dipinto denso di significato, non sono sufficienti a smuovere la coscienze o a segnare l’evoluzione verso alcuni diritti ma possono far riflettere su tanti aspetti della vita.
Su nuovi tipi di famiglia e su nuove forme per vivere il sentimento della paternità, per esempio, tenendo sempre a mente che anche Giuseppe ebbe la sua parte.