Il mio niente assoluto, incandescente,
il mio tutto di Te,
non esser niente di me,
caduta dentro un buco fondo e risalita
a rinverdire il mondo, fisica linfa
nutrimento, polvere…
Nell’aria scorre
l’astronave divina e non c’è spazio
per il suo atterrare
se non mi faccio deserto di ascolto.
Divento come clessidra gigante
e segno il tempo che non c’è sul foglio.
Volano
le parole dove vogliono, fatte stormi d’uccelli
migratori ed una cade a terra stecchita:
leggo atterrita la parola vita.
Maria Grazia Lenisa
Tormento interiore per un contrasto tra un niente odierno e tangibile e un tutto assoluto nell’aria. Un “niente di me”, insufficiente, incolore, silenzioso ma pronto a rinascere verde e a muoversi di un moto ancora vivo come la polvere mossa dal vento; vento di “astronave divina”, lontano, solo immaginabile e che non trova spazio per morire a terra, tra la nostra polvere.
Maria Grazia Lenisa è nata a Udine nel 1935, si trasferì a Terni, dove ha trascorso gran parte della sua vita. Fin dagli anni ’50 le sue pubblicazioni poetiche sono state oggetto di studio da parte di importanti critici. Autrice di numerosi saggi di critica letteraria, si è interessata di scrittori e fu vincitrice di numerosi premi e riconoscimenti. Nel novembre del 2003 ha ricevuto il “Diploma honoris causa” dall’Istituto di Cultura Superiore del Mediterraneo di Palermo e Monreale. L’autrice ha diretto anche la collana del Capricorno per la Casa Editrice Bastogi, svolgendovi anche attività critica.
I versi che oggi vi propongo fanno parte della silloge “Il Canzoniere Unico”, pubblicata postuma e che presenta lo stesso titolo di una poesia presente nella raccolta “La Predilezione”: si tratta di una poesia dedicata ad una “Madre” creatrice di luce, aria e profumi da inneggiare inchinandosi di fronte alla ricchezza di una vita donata per la quale non siamo abbastanza.
(…)
Giardiniera lucente dei tuoi orti, ho fatto versi
D’oro
In cui l’oggetto erotico era l’aria, la luce, il fiore…
e mai ogni bersaglio fu così incerto, volendo
sfiorare l’Impossibile Atto di Creazione,
crudele, ambigua, contraddittoria e insieme
bella, splendida, insondabile per cui lo smacco
in te sola risolvo nell’oro che riscatta
il mio metallo,
“Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio,”
incesto d’oro che abbaglia e riluce.
(Da “La Predilezione”).
“Amando Lui”, seguendo il proposito dei versi che vi ho appena riportato, si fa poesia incantevole nei toni e ricca di gratitudine, ma intrisa di amarezza nel vivere un contrasto talvolta troppo rilevante; e di fronte a tale amarezza cosa fa l’uomo? Si fa strumento divino e asseconda l’atterraggio degli aneliti lontani, con parole compiacenti. Il poeta si mette al servizio di un’aria prossima e amica, se interpretata tra i granelli della nostra polvere e quelli della clessidra che abbiamo inghiottito. Le parole si fanno quindi premurose e attente nell’uscire dai soffi divini per cadere a terra mutate, ma comprensibili e mortali. Tutto ciò arriva ad essere vivo, lontano dal “tutto” impalpabile, per cadere a terra e morire con noi e per noi.