Siam tutti, a Natale, un po’ re Magi.
Negli empori, fanghiglia e affollamento.
Gente carica di mucchi di pacchetti
mette un bancone sotto accerchiamento
per un po’ di croccante al gusto di caffè:
così ciascuno è cammello e insieme re.
Reticelle, sacchetti, borse della spesa,
berretti, cravatte che vanno di traverso.
Effluvi di vodka, pino e baccalà,
e di cannella, mandarini e mele.
Marea di volti, per via del vento misto a neve
il sentiero verso Betlemme non si vede.
Come viviamo il Natale nel nostro tempo? Fiumi di parole per descrivere il giorno più magico dell’anno e poi pochi fatti, troppo esiguo il sentimento che ci anima, probabilmente solo troppo esteriore.
Iosif Brodskij, straordinario poeta russo morto nel 1996, ha composto una raccolta di diciotto componimenti sul Natale. Si tratta, come ha ricordato il poeta stesso in un’intervista degli anni ’90, di poesie scritte ogni anno proprio in occasione della nascita di Cristo, “quasi come un augurio” , discontinue però dal punto di vista cronologico, perché spesso tra un componimento e l’altro c’è una pausa di molti anni.
La festività natalizia è comunque spesso soltanto lo spunto per riflessioni, talvolta amare e pungenti, lontane dal tema principale. Questa poesia in particolare, 24 dicembre 1971, è emblematica e suggestiva. Nelle prime due strofe il poeta si sofferma con spirito critico sul tema del consumismo che è diventato l’aspetto più importante del nostro Natale, mentre è chiaro che abbiamo perso di vista la rotta per Betlemme.
Quelli che portano i modesti doni
saltano sui mezzi, sfondano i portoni,
spariscono negli abissi dei cortili,
eppure sanno che la grotta è vuota:
niente greppia, né un bue con l’asinello,
o Colei che circonfusa è da un aureo anello.
Il vuoto. Ma basta immaginarlo con la mente,
e dal nulla, di colpo, un guizzo luminoso.
Deve saperlo Erode che quanto più è potente,
tanto più certo, ineludibile è l’evento prodigioso.
La costanza di tale affinità
è il meccanismo fondante della Natività.
Un vuoto riempie l’aria. Tuttavia il Natale ha il potere di travalicare il vuoto stesso. Ognuno di noi può ricevere il senso di questa Nascita e spezzare la catena di morte innescata da Erode.
E adesso ovunque festeggiano
Il Suo avvento, mettendo tutti i tavoli vicino.
Ancora non serve la stella nel turchino,
ma già si può vedere da lontano
la buona volontà di ogni figlio d’Adamo,
mentre i pastori attizzano i falò.
Fiocca la neve: non fumano i comignoli
sui tetti, squillano invece. I volti come macchie.
Erode beve. Le donne nascondono i piccini.
Chi sta giungendo – non si può sapere:
ignoriamo i presagi, e il cuore sull’istante
potrebbe non ravvisare un forestiero nel viandante.
Ma quando, nella corrente della porta spalancata,
una figura avvolta nello scialle emerge
dalla foschia fitta della notte,
senti esistere in te senza vergogna
il Bambino e lo Spirito Santo;
poi guardi il cielo ed eccola – la stella.
Nella parte finale di questa costruzione poetica Brodskij lancia il suo augurio. Ognuno di noi può lasciarsi invadere dal mistero e dalla magia del Natale. Gli occhi dei figli di Adamo possono ancora riconoscere nella Stella la guida.
Questi versi sono un lungo viaggio durante il quale il lettore ha modo di soffermarsi e di capire, attraverso le immagini e la sensibilità, anche schietta e amara, del poeta, ciò che il Natale potrebbe e dovrebbe essere per ciascuno.