Susan Rosenblatt, questo era il suo vero nome, ha avuto talento e capacità di rara grandezza che le hanno permesso di costruire una personalità forte quanto complessa al punto da fare della sua vita un’opera d’arte.
Di arte, intesa come suprema categoria della bellezza, ha permeato tutte le sue attività: saggista, scrittrice, giornalista, teologa, icona di un mondo intellettuale che lei ha saputo rendere più vicino alle masse benché così sofisticato. La Sontag nacque a New York il 16 Gennaio del 1933 da una famiglia di commercianti ebrei di origine polacca. A soli 5 anni perse suo padre Jack e la madre Mildred dopo qualche anno si risposò con Nathan Sontag il cui cognome piacque così tanto a Susan ed alla sorella Judith che decisero di acquisirlo.
Sin dalla tenera età la spiccata versatilità alle lettere ed alla lettura (imparò da sola a leggere e scrivere a soli tre anni) le garantirono un brillante e veloce percorso di studi e da giovanissima studentessa universitaria si occupò di filosofia, storia, filologia e teologia. Seguì gli spostamenti familiari tra l’Arizona e la California decidendo poi di stabilirsi da sola a Chicago dove conseguì il Bachelor of Arts. La relazione con un suo docente di sociologia, il professor Philip Rieff, culminò nel matrimonio e la nascita dell’unico figlio David. Susan aveva solo 19 anni ed un amore sconfinato per la vita accademica, tanto da portarla a perfezionare i suoi studi sull’etica e la filosofia prima alla Università di Harvard, poi ad Oxford nel 1957, quindi a Parigi.
In quegli anni la frequentazione con diversi ambienti universitari le consentì di sviluppare un suo originale pensiero sull’accademismo più in voga nella società americana discostandosene criticamente ma divenendo a poco a poco parte di quel mondo.
Con il divorzio (1959) ed il trasferimento a New York con il figlio, la Sontag sperimentò la ristrettezza economica e senza perdersi d’animo iniziò a collaborare con alcune riviste letterarie. Sul Partisan Review pubblicò diversi saggi su scrittori e filosofi europei dell’ ottocento e novecento ma collaborò anche con il “New Yorker” ed il “New York Book Review”.
Nel complesso e variegato percorso umano ed intellettuale della scrittrice americana si possono tracciare tre tappe fondamentali, ciascuna caratterizzante una fase specifica della sua produzione e del suo pensiero.
Il 1964, la prima di queste tappe, è l’anno in cui sul Partisan Review la Sontag pubblica il celebre “Note of Camp” il manifesto della cultura Camp dedicato per altro ad Oscar Wilde.
“Molte cose al mondo non hanno un nome, e molte, anche se il nome ce l’hanno, non sono mai state descritte. Una di queste è la sensibilità che va sotto il nome di Camp. Chi infatti partecipa di tutto cuore di una data sensibilità non può analizzarla; può soltanto, qualunque siano le sue intenzioni, esibirla. Dare un nome a una sensibilità, tracciarne i contorni e raccontarne la storia richiede una simpatia profonda rettificata da un senso di revulsione.”
Della cultura Camp Susan Sontag divenne una delle principali esponenti ed in poco tempo un intellettuale di spicco al pari di Noam Chomsky nel dibattito contro l’accademismo di alcune facoltà, fin troppo chiuse nella tradizione e poco aperte alle nuove istanze che si configuravano sul finire degli anni “60, prime fra tutte il rifiuto della guerra in Vietnam e la rivoluzione sui costumi. Con la letteratura Camp si pone la necessità di riscoprire l’arte partendo dai sensi, di viverla e di ostentarla.;per questo la Sontag indaga qualsiasi forma di arte e di comunicazione, anche quella che poteva sembrare di cattivo gusto e tra queste forme di comunicazione c’è la fotografia. Celebre ed ancora oggi attuale il suo saggio “Sulla fotografia-Realtà e immagine della nostra società”, del 1977, raccolta di riflessioni sull’etica del fotografo e la grandezza della fotografia come “arte elegiaca e crepuscolare…che altera ed amplia le nostre nozioni su ciò che val la pena guardare e di ciò che abbiamo il diritto si osservare”. Insomma una vera etica della visione attraverso la quale è possibile per l’uomo riconoscere valori e riflettere anche sulle azioni politiche e sociali di talune società.
La seconda tappa è quella in cui la scrittrice scopre e svela la sua omosessualità difendendo i valori etici circa l’unicità di ciascun essere umano a prescindere dalle sue tendenze sessuali. Negli anni “80 si legò sentimentalmente alla fotografa Annie Leibovitz , un profondo sodalizio non solo affettivo ma ancor più culturale da cui la Sontag trasse un modello per le sue riflessioni sul tema della bellezza e dell’etica. Nello stesso periodo conosce la malattia e per ben tre volte nell’arco di 30 anni, viene colpita da forme tumorali che pur non avvilendo il suo profondo attaccamento alla vita, ne alterano la percezione. Dal dolore fisico e mentale nasce il saggio “Malattia come Metafora. Cancro ed Aids” (1992), un libro che con scrittura precisa, tagliente ma ricca di riferimenti storici e letterari, indaga su ciò che le società costruiscono attorno alle malattie più orribili, metafore di una primigenia colpa. “La malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa- scrive nella prima pagina del libro– “Io intendo descrivere non la realtà dell’emigrare nel regno della malattia e del viverci, ma le fantasie punitive o sentimentali costruite intorno a questa situazione”.
La terza tappa è contraddistinta dalla passione per il romanzo ed il racconto. Scrisse svariati libri sul filone del romanzo storico e di quello di formazione; i più celebri sono stati “L’amante del Vulcano” -che racconta di un triangolo amoroso tra Emma Hamilton, il marito William ed Horatio Nelson-;“Io eccetera”, in cui con “scrittura espressiva e stenografica” (cit Publishers Weekly) la scrittrice fa vivere in otto racconti episodi ed esperienze autobiografiche di grande coinvolgimento. “In America” è un romanzo liberamente ispirato alla storia della attrice polacca Helena Modrzejewska che nel 1876 emigrò negli USA in cerca di fortuna e libertà con il marito, Karol Chtapowski ed il giornalista Henryk Sienkiewicz, il futuro autore di Quo-Vadis.
David Rieff, che oggi è tra i principali amministratori dei numerosi taccuini e diari che la Sontag scrisse poco prima che la leucemia la strappasse alla vita (28 Dicembre 2004), nel libro postumo “Nello stesso tempo. Saggi di letteratura e politica” ha scritto della madre:
“Lei era interessata a tutto. Anzi se disponessi di una sola parola per evocarla ricorrerei ad “avidità”..e l’appartamento in cui viveva, era pieno fin quasi a scoppiare di una raccolta sorprendentemente varia di oggetti, stampe, fotografie, libri, un numero infinito di libri. Mia madre nel saggio Tradurre letteratura affermò che “uno scrittore è prima di ogni altra cosa un lettore…E’ attraverso la lettura, ancor prima che attraverso la scrittura, che sono diventata parte di una comunità, la comunità della letteratura in cui gli scrittori sono più numerosi dei vivi”. Ora è una di loro. Ora è diventata i suoi ammiratori”.
Scrittrici dello spessore e del coraggio di Susan Sontag in Italia ne abbiamo avute forse una sola e si chiamava Oriana Fallaci.