Un Ovidio quarantacinquenne, maturo e nel pieno del successo, decide di rinnovarsi dal punto di vista letterario. È finita l’epoca delle opere di argomento erotico (gli Amores, le Heroides, l’Ars amatoria); è giunto il momento di concepire progetti più ambiziosi, sia sul fronte contenutistico che stilistico. Ed è questo il periodo della genesi delle Metamorfosi (o Metamorphoseon libri), grandioso poema in XV libri, composto interamente in esametri tra il 2 e l’8 d.C.
Un proemio, tanto breve quanto incisivo, chiarisce fin da subito gli intenti dell’autore: in nova mutatas dicere formas corpora, ossia “narrare il mutare delle forme in corpi nuovi”. È il tema classico delle “trasformazioni” – ampiamente trattato sia in lingua greca che latina – che qui si snoda in un “canto ininterrotto” (perpetuum carmen dice Ovidio) dalle origini del mondo fino all’età di Augusto, abbracciando sia la materia mitica che quella storica (con intenti palesemente celebrativi).
L’ambizione non manca certo all’autore dell’opera, che si richiama ad antichi modelli ma nello stesso stesso tempo intende superarli in originalità e complessità strutturale. Dal punto di vista della materia narrativa, Ovidio la dispone cronologicamente in tre blocchi: l’età dei primordi, l’età del mito e l’età della storia. Ma, di fatto, quest’ordinamento riveste minor importanza di quello che possa a prima vista sembrare, perchè nelle Metamorfosi i singoli libri sono divisioni fluide: numerosi sono i casi in cui i racconti si interrompono al termine di un libro per ricominciare nel successivo, e decisivi risultano i collegamenti – di qualsiasi natura essi siano – fra i vari episodi. Ogni storia sembra generare un’altra storia, ogni trasformazione dà luogo a una nuova trasformazione. L’ambizione a cui facevamo prima riferimento è proprio questa: dar vita a un libro ineusaribile, illimitato, senza confini.
Filemone e Bauci, Ceice e Alcione, Esaco, Erisictone… Sono solo alcuni dei protagonisti delle ineusaribili storie di Ovidio, che in un’opera dal ritmo vorticoso riesce bene nell’intento di mescolare anche gli stili: poesia pastorale, commedia, tragedia, poesia didascalica. C’è di tutto nelle Metamorfosi.
Spesso il poeta gioca sui labili confini tra reale e fantastico, verità e finzione. Talvolta, addirittura, è lui stesso a dichiarare di non credere alle vicende che sta narrando, creando una voluta confusione che ha assicurato duraturo successo all’opera. Al centro delle vicende troviamo spesso l’amore, un eros contrastato, infelice, spesso impossibile da vivere, i cui protagonisti sono quasi sempre gli dèi, che con Ovidio risultano straordinariamente umanizzati nei sentimenti e nelle conseguenti azioni.
Negli ultimi libri del poema il corso della narrazione si volge all’età della storia, con il trionfo di Augusto in cielo: è la classica visione romanocentrica e provvidenzialistica, in cui tutto sembra condurre a Roma, consacrata e protetta dall’Alto. Una chiusa “augustea” che segna l’omaggio al regime.