Sono grande, ormai. Sono grande, grande, grande.
Continuo a ripetermelo mentre le ruote del mio enorme trolley scivolano rumorosamente lungo il binario, zigzagando tra tutti coloro che, come me, aspettano il treno.
Mi correggo: anche loro aspettano il treno, ma decisamente non come me.
“Come ti senti, cara?”.
Mi volto e mia madre, che mi ha accompagnato fino a lì, sorride incoraggiante e aspetta una mia risposta. Come vuoi che mi senta, ma’? Sono emozionata, dopotutto questo treno mi porterà fino alla mia nuova casa, all’università, al luogo dove passerò la maggior parte del tempo almeno per i prossimi tre anni. Ma ho anche paura. Forse non voglio partire davvero, forse non appena arriverò là capirò che il posto dove si sta meglio è sempre casa propria, forse non sono ancora pronta. Neanche se ho quasi vent’anni.
Non so cosa rispondere alla sua domanda, quindi mi limito a sorridere nervosamente. Lei capisce, non c’è bisogno che io dica nient’altro.
Mia madre intuisce che in questo momento deve lasciarmi sola con i miei pensieri, quindi non mi parla. Ed io continuo a ripetere silenziosamente tra me e me: Sono grande.
Grande per cosa? Per andare a vivere sola senza i miei genitori in un’altra città? Per riuscire a preparare bene gli esami che mi aspettano nei prossimi anni? Per non aver paura di un maledettissimo viaggio in treno da sola?
Non sono grande, accidenti. I grandi non piangono.
Cerco di autoconvincermi che è davvero arrivato il momento per me di venire gettata fuori nel mondo ed imparare a cavarmela da sola. Non posso rimandare il momento di diventare adulta a quando sarò così cresciuta che imparare come si fa sarà troppo difficile. I miei genitori mi hanno spinto dolcemente verso il bordo del caldo nido dove mi hanno cresciuta, aiutandomi a spiccare il volo.
In questi casi si va incontro solo a due cose: imparare a volare o sfracellarsi al suolo.
Dall’altoparlante una voce annuncia che il mio treno regionale è in arrivo al binario due.
Ormai è come se fossi già in viaggio. Saluto mia madre, annuisco al suo solito “ti raccomando”, una frase dove il complemento oggetto è sempre sottinteso e devo mettercelo io all’occasione. Mi avvicino alla linea gialla prima delle rotaie e aspetto.
Il treno arriva sui binari sferragliando ed una calca di gente mi spinge a destra e a sinistra per riuscire a salire sul treno prima degli altri ed accaparrarsi il posto. In fin dei conti cosa importa a loro di una giovane ragazza con il trolley che pesa la metà di lei? Proprio nulla.
In qualche modo, sono sul treno. Trovo un posto a sedere e tengo la valigia accanto a me, posandoci sopra una mano per sentirmi a contatto con qualcosa di familiare.
Un uomo seduto più avanti però mi fa notare che è troppo ingombrante, così mi aiuta a sollevarla per riporla negli appositi scompartimenti. Lo ringrazio, da sola non ce l’avrei mai fatta. Lui non risponde e torna a sedersi al suo posto.
Ora sono davvero sola.
Il treno riparte ed io passo i minuti successivi ad osservare fuori dal finestrino il modo in cui ci stiamo allontanando dal piccolo paese dove sono cresciuta.
Questo è il mio viaggio, penso. Sorrido senza nemmeno accorgermene.
Il mio cellulare vibra per l’arrivo di un nuovo SMS. È mia madre.
“Andrà tutto bene”.
Sì, hai ragione, ma’. Andrà tutto bene. Ed io sono pronta ad imparare a volare.