Questa settimana la biografia la scrivo a quattro mani insieme a Gianpietro “Sono” Fazion, un “simpatico vecchietto” che mi ha raccontato la sua storia.
Gianpietro nasce in campagna, a Cerea, nel 1936. Quando aveva pochi mesi, i suoi genitori si trasferirono in Trentino Alto Adige. La vicinanza con il confine, fece sì che Gianpietro imparasse il tedesco.
Con un sorriso velato, con un certo orgoglio che gli attraversa il viso e, soprattutto con un accento di quelli “stretti stretti” continua a raccontare: “a 6 anni la mia mamma mi mise in mano la fisarmonica e da quel momento diventai bravissimo”. In effetti, Gianpietro si iscrisse al conservatorio “Pietro Forti”, a 14 anni suonava già nelle taverne del suo paese, accompagnando altri gruppi musicali. Questa passione per la fisarmonica e la musica in generale, non rimase un’esperienza personale: a Bolzano aprì una succursale della Scuola di Fisarmonica di Milano, fortemente voluta e diretta da Gianpietro e dove studiarono molti nomi importanti.
Dopo aver terminato la scuola media, “i miei mi iscrissero alla Scuola Commerciale, perché non avevano i soldi per altre scuole. Io però la odiavo e la mattina, invece di andarci, scappavo in biblioteca e mi mettevo a leggere Galileo, i filosofi e tutti i testi di grande letteratura”.
Gianpietro abbandonò gli studi e si buttò a capofitto nella musica, approfondendo lo studio della fisarmonica e imparando a suonare il pianoforte. Ma un giorno “in viaggio verso Marano, avvertii un crampo alla mano. I dottori mi dissero poi che era meglio prendere una pausa dalla musica, altrimenti la mia mano non avrebbe retto”. Gianpietro aveva una personalità vivace e passionale e non si lasciò scoraggiare da queste difficoltà, anzi fu l’occasione per icriversi alla Scuola Magitrale e successivamente all’Università di Padova, al corso di laurea in Pedagogia e Filosofia.
Dopo la laurea, conseguita con il massimo dei voti, si occupò in particolare dei bambini celebrolesi.
L’incontro con il mondo dei disabili gli permise di utilizzare al meglio gli studi in Pedagogia e Musica. In Austria infatti progettò un percorso di musicoterapia per un bambino disabile, che registrò grazie alle tecniche adoperate da Ginpietro, un notevole miglioramento. E per gli ottimi risultati ottenuti, Gianpietro venne inserito nell’équipe medico- pedagogica del Provveditorato.
L’incontro con la cultura orientale avvenne per caso: “dove abitavo io c’era una bancarella con un tizio strano, che vendeva giornaletti non proprio adatti ai ragazzini. Un giorno mi misi a scavare sperando di trovare qualcosa di diverso dalle immagini delle donne senza vestiti. E allora trovai un libro <Tao te ching>, con degli aforismi cinesi, e lo comprai”. Da qui iniziò l’interesse di Gianpietro per l’Oriente, caratterizzato dall’amore, dal rispetto, e dall’armonia con la natura. Sentimenti in cui si riconosceva e che lo spinsero ad avventurarsi nei boschi. Il contatto con la natura ispirò la composizione di 5000 versi che Gianpietro scolpì nelle rocce.
Iniziò ad avvicinarsi al Buddhismo mostrando subito grande passione e interesse, tanto che un giorno “mi capitò di ascoltare il discorso di Gandhi <Siate il cambiamento che volete vedere nel mondo>”…qui Gianpietro si emoziona, cala il capo e si copre gli occhi lucidi, poi continua: “allora dopo aver sentito queste parole, partii per l’India. Qui conobbi un maestro che insegnava credenze religiose all’università, che mi spiegò tantissime altre cose sul Buddhismo e sul rapporto con il cristianesimo. Questo argomento mi interessava molto”.
Tornato dall’India, Gianpietro continuò i suoi studi buddhisti, e si dedicò alla scultura. Viene oggi considerato uno dei precursori della Land Art Italiana. Espose le sue opere in molte mostre, in Italia, ma anche in Germania, Austria, Inghilterra. Lavorò ed entrò in contatto con molti artisti del suo tempo. Diventò, insomma, un affermato e riconosciuto artista. Tutto sembrava andare per il verso giusto, ma un evento cambiò le sorti della vita artistica di Gianpietro: “in quel periodo andava tutto bene. Solo che un giorno venni a sapere che avevano venduto un quadro di Van Gogh a dei giapponesi per 3 miliardi di lire. Questa cosa mi disgustò perché l’arte non poteva avere un prezzo, era arte punto e basta. Allora scrissi una lettera dove comunicai al mondo dell’arte che l’avrei lasciato, a causa della mercificazione e del giro di affari che lo contrassegnava”.
Tornato stabilmente in Italia, iniziò a frequentare ed abitare nei monasteri buddhisti e zen. Fu durante questo periodo che gli venne attribuito il “Sono” tra il nome e il cognome di cui Gianpietro è tanto orgoglioso.
Parte per un altro viaggio, questa volta approdò in Tibet: “restai in Tibet un mese e mezzo, presso la residenza del Dalai Lama. Qui facevo le veglie con i monaci. Le sensazioni che provavo in quel momento mi hanno cambiato la vita”.
Gianpietro ha scritto molte opere. La maggior parte parlano della religione buddhista, del dialogo interreligioso con il cristianesimo. Alcuni titoli: “Viaggio nel buddhismo zen”, “Lo zen e la luna”, “Le grandi figure del Buddhismo”, “Dharma e Vangelo”, “Il Buddha”, “Il canto perduto degli angeli”.
Attualmente Gianpietro Fazion, vive presso la residenza per anziani “Muzi Betti”, a Città di Castello (PG). Ha un figlio che vive in Cina ed è ormai separato dalla moglie da tanti anni. È lì che l’ho conosciuto e mi ha immediatamente affascinata per la sua profondità, la sua lunga e, come dice lui, “faticosa” vita, per la capacità di emozionarsi ricordando il passato e di sorridere agli altri anziani che vivono con lui. È una persona in gamba, che ha tanto da raccontare e che con cui è un piacere trascorrere il tempo.
Concludo con lo stesso aneddoto con cui Gianpietro mi ha congedata: “a Osimo c’era la Lega del Filo d’Oro, con cui avevo lavorato, Istituto medico psico pedagogico, che collaborava con l’Università di Nimega in Olanda. Una volta credo ne abbia parlato anche Renzo Arbore in tv. Comunque tre anni fa, sono andato lì a fare una visita e mentre pagavo il ticket, un’infermiera mi ha riconosciuto. Allora mi ha detto: guardi che belle cose avete realizzato signor Fazion. Tutti le saremo grati per ciò che ci ha lasciato”.
A me ha lasciato questa intervista, tanti sorrisi e qualche emozione…e gli sono grata.