Primo inedito e postumo di Antonio Tabucchi, scritto nel corso di diversi anni e annotato su una serie di quaderni dalla copertina scura ed oleosa. Per Isabel. Un mandala è stato trascritto integralmente nel 1996 e il suo stesso ideatore lo ha definito: “un romanzo strambo, una creatura strana come un coleottero sconosciuto rimasto fossilizzato su un sasso”. Nella sua Giustificazione in forma di nota Tabucchi dopo 50 anni di carriera sente ancora il bisogno di raccontare la genesi del libro: il mandala della coscienza disegnato da un monaco e i pensieri di Hölderlin che lo hanno colto di sorpresa in una notte d’estate.
Questo non è un romanzo risolutivo: se all’inizio la storia narra la ricerca compiuta da Tadeus Waclaw Slowacki (personaggio già noto in Requiem) per ritrovare le tracce della perduta Isabel, dalla metà in poi si inizia ad intuire che il finale confezionato da Tabucchi non sarà teso semplicemente a sbrogliare la matassa del mistero. Sono gli elementi fantastici e visionari che incontriamo ad ogni stazione del mandala che ci gettano nel surrealismo e nella riflessione. Fin dall’inizio ci si pongono numerose domande sulla scomparsa Isabel, anticonformista durante la dittatura di Salazar di cui si sono perse le tracce della sua fuga nella clandestinità. Il regista di questa ricerca, Tadeus, rimane nell’ombra con i suoi motivi e la sua storia. Si intuisce che ha avuto rapporti stretti con Isabel e che lo guida il rimpianto, forse, di averla persa senza le dovute spiegazioni.
La chiave di lettura di questa vicenda, sta tutta nel suo titolo. Mandala in sanscrito significa ciclo e racchiude in sé i concetti di essenza e di possedere o contenere. È infatti un circolo quello creato da Tadeus, più che una ricerca lineare. La chiusura delle sue interviste ai personaggi che hanno toccato la vita di Isabel genera nuovi cerchi concentrici sempre più piccoli che portano ad un inevitabile centro. Dopo ogni incontro Tadeus aggiunge un tassello alla sua conoscenza della verità e apprende qualche dettaglio in più su Isabel grazie a Monica, amica d’infanzia e complice nell’adolescenza, l’unica che sia riuscita a cogliere qualche aspetto dell’amica nella rievocazione di tempi lontani. Vengono in successione la balia Bi, l’amica sassofonista, Zio Tom, un fotografo e tanti altri, fino ad arrivare ad un poeta morente e visionario in preda all’oppio. Tadeus viene trascinato da un continente all’altro grazie a tutti gli indizi che raccoglie per strada: dall’amata Lisbona alla Cina, dalla Svizzera all’Italia. Il viaggio è concreto, palpabile, ma la sua ricerca appare sempre meno logica e sempre più spirituale.
Isabel è una visione, una figura che ha scelto di sparire nel nulla e che nel suo intento è riuscita fino in fondo. Tabucchi ci lascia, letteralmente, con molte domande in gola.