Un osservatore esterno non avrebbe potuto. “Fare cosa?” Non avrebbe potuto in nessun modo considerare ovvia e scontata la visita di quel mattino. “Ma quale mattino? Quale visita?” Mi sembra già di sentirvi, di sentire le vostre domande, irritati e sconcertati dalle mie frasi monche e sospese. Ma (forse) mi sbaglio, perché un narratore può prendersi anche questo lusso. Il bello del lettore è che non solo non si arrabbia (forse) ma continua a farsi trascinare. Continua anche a farsi rubare il tempo (forse). Forse. Anzi certo, visto che state ancora leggendo!
Comunque sia quel mattino- non importa quale- suonò il campanello. Erano le sette e cinque, non so in quale dimensione extra-temporale mi trovassi, ma l’insistenza dello scocciatore mi riportò al mondo reale. Aprendo l’uscio, dei baffi neri, dilatati da un sorriso, mi accolsero gioiosi. Gabriel Garcìa Marquez, in casa mia, e alle sette e cinque del mattino, per giunta? Ma le sue prime parole chiarirono tutto: “Buongiorno!”- disse- “e mi scusi per l’orario, ma appena ho saputo che il mio turno fosse arrivato, mi sono subito precipitato. Sa, quel libro, Cent’anni di solitudine, è stato sì la mia fortuna, ma anche la mia rovina! Sto ancora pagando per la fama e gli onori ed è tutta colpa di quel titolo, quel maledettissimo titolo!!! Ho bisogno di parlare con qualcuno, questo distacco mi uccide! E’ per questo che ho risposto al bando del Generale Foglio Bianco…”
Solo allora capii. Nel contesto assurdo nel quale mi trovavo ormai da mesi quella visita di Marquez era la cosa più naturale e spontanea che potesse esserci. Il lettore esigente a questo punto sarà soddisfatto, chi lo è ancora di più mi segua un altro poco.
“Non so, Maestro, se un dialogo del genere possa aiutarla, ma ho bisogno di sapere questo”- dissi, appena che sedemmo al tavolo- “che cosa sono le funzioni e gli indizi?” “Dopo una prima lettura del racconto o testo letterario”- disse- “si può procedere al suo smontaggio o divisione in funzioni (o unità minime di contenuto), che emanano una certa energia narrativa. Le funzioni si riferiscono all’ambito degli eventi, mentre gli indizi, che sono unità di contenuto descrittivo, coinvolgono la sfera dell’essere e forniscono informazioni relative ai personaggi, all’ambiente, alla qualità degli eventi, ai sentimenti. Gli indizi sono importanti per dotare di pienezza sia le immagini, costruite dal narratore, sia le sue scelte stilistiche”. Così dicendo prese dalla borsa un volume. “Non sono così solo da non avere sempre con me un buon libro”- disse, sforzandosi di rallegrare il tono di voce. “Questo brano è tratto dai Promessi Sposi ed è un esempio sublime di come, appunto, gli indizi siano importanti. E’ la descrizione della madre della piccola Cecilia. Ascolta.
Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d’averne sparse tante; c’era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un’anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne’ cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta: ma tutta ben accomodata, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a seder su un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull’omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de’ volti non n’avesse fatto fede, l’avrebbero detto chiaramente quello de’ due ch’esprimeva ancora un sentimento. Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d’insolito rispetto, con un’esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo: – No!- disse: – non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete. – Così dicendo, aprì la mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: – promettetemi di non levarle un filo d’intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra così. Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l’inaspettata ricompensa, s’affaccendò a far un po’ di posto sul carro per la morticina.”
A quel punto il Maestro terminò la lettura. Dopo pranzammo e cenammo insieme. Il resto della serata lo passai a convincerlo. Di andarsene, ovviamente.