«La parola serve a nascondere il pensiero, il pensiero a nascondere la verità. E la verità fulmina chi osa guardarla in faccia»
Ennio Flaiano nacque a Pescara il 5 marzo 1910 da una famiglia della piccola borghesia; nel 1922 arrivò a Roma dove studiò al Convitto Nazionale, iscrivendosi successivamente alla Facoltà di Architettura, senza tuttavia portare a temine gli studi. Fin dagli anni ’30 compì le prime esperienze teatrali e giornalistiche e nel 1933 iniziò il servizio militare, partecipando successivamente alla Guerra d’Etiopia.
Tornato a Roma, alla fine degli anni Trenta iniziò a collaborare con vari giornali (Cine Illlustrato, Mediterraneo, Il popolo di Roma) scrivendo articoli di critica d’arte, teatrale e cinematografica. Nel 1942 lo scrittore cominciò a lavorare per l’industria cinematografica, diventando redattore de Il Mondo nel 1949. Per tutto il corso degli anni Cinquanta e Settanta Flaiano svolse in parallelo l’attività giornalistica e quella cinematografica, collaborando con giornali come il Corriere della Sera e L’Espresso e lavorando a film di successo, principalmente con Fellini.
Flaiano visse quindi in prima persona il rapporto tra la letteratura e la nuova industria culturale, tra giornalismo e cinema, dovendo fare spesso i conti con il ritmo frenetico imposto dal proprio lavoro; l’attività cinematografica lo portò infatti a viaggiare molto e a soggiornare frequentemente a New York. Quando nel 1970 venne colpito dal primo infarto, lo scrittore decise di abbandonare la vita frenetica per ritirarsi in un residence e dedicarsi al riordino dei suoi scritti. Il 20 novembre 1972 fu colpito da un secondo infarto, questa volta fatale.
Il capolavoro di Flaiano è sicuramente il romanzo Tempo di uccidere (1947), che si aggiudicò il Premio Strega. Quest’opera trae spunto principalmente dall’esperienza della Guerra d’Etiopia, presentata come un’ avventura per cui lo scrittore prova allo stesso tempo repulsione e suggestione. La continua tensione tra questi poli opposti genera la successione degli eventi dell’opera, che si configura tuttavia come un testo in contrasto con gli schemi narrativi della memorialistica neorealistica. Infatti, l’atmosfera allucinata all’ interno della quale avvengono i delitti alla fine della vicenda mette in dubbio l’effettivo verificarsi degli avvenimenti.
La complessità tematica e narrativa di questo romanzo venne meno nei lavori successivi di Flaiano, come i quattro racconti contenuti nei volumi Una e una notte (1959) e Il gioco e il massacro (1970). Inoltre, l’esperienza che l’autore acquisì nella scrittura cinematografica lo indusse a cimentarsi in quella teatrale, componendo delle vere e proprie farse in cui dominano i temi paradossali e le invenzioni fantastiche.
Questi testi vennero raccolti e pubblicati nel 1971 in una raccolta dal titolo Un marziano a Roma e altre farse; in particolare, Un marziano a Roma fu rappresentato al Teatro Lirico di Milano, senza tuttavia ottenere successo. In questa farsa si assiste ad una dilatazione dello spazio scenico rappresentato da una Roma soffocata dalle velleitarie abitudini burocratiche e consumistiche, segno di una totale mancanza di immaginazione della società romana dell’epoca. Da ciò deriva l’atteggiamento satirico e ironico di Flaiano, presente anche in molti suoi articoli di giornale e in una serie di testi pubblicati in due volumi, Diario notturno (1956) e Le ombre bianche (1972).
In questi scritti l’autore critica aspramente l’appiattimento della vita quotidiana e le distorsioni causate dalla società di massa. Egli inoltre ironizza sul mondo creato dall’ Italia del boom economico e dello sviluppo e sull’aridità che permeava la società dell’epoca: la sua è tuttavia un’ ironia amara che constata sempre più l’ impossibilità della realizzazione di una civiltà moderna e laica a cui aspirava.
Il mondo descritto e rappresentato dall’ autore è infatti popolato da menzogne, presunzione e vanità; l’estraneità dello scrittore di fronte a quest’ universo è visibile nella costruzione di atmosfere allucinate e nella volontà di non ammettere e di nascondere una realtà aborrita e detestata, che faceva sentire lo stesso Flaiano un marziano a Roma.