17 ottobre: un giorno che dal 2013 tutti voi che siete finiti sulle pagine di questo blog dovrete segnare in rosso sul calendario. Non per celebrare le stravaganti dimissioni di Monti, che consegneranno il suo partito al dimenticatoio più rapido degli ultimi anni. Nemmeno perché due giorni dopo è il compleanno di mia moglie e il Defcon tende all’arancione se il regalo non è già a casa impacchettato.
Il 17 ottobre, da quest’anno, sarà la giornata dedicata alla lettura. Come ogni nuova iniziativa che si rispetti, non sarebbe esistita veramente nel mondo reale se un cancelletto non ne avesse accompagnato la vita nel web 2.0: e così, #Socialbookday è stato. L’idea, il bando, la promozione e la gestione di tutto quel che intorno all’evento ruotava è stata di Libreriamo, una bookzine (social book magazine, si proclama in testata) attivissima, come da manifesto programmatico, su tutti i canali. La profusione di prime persone plurali nelle rubriche del sito (“Curiosiamo”, “Pubblichiamo”, “Diffondiamo”…) mi piace molto, indica un’attitudine al fare gruppo che rende la lettura qualcosa di condiviso: niente di nuovo sotto il sole del social reading, ma è un affluente importante al fiume della lettura 2.0. Questo approccio è stato sicuramente un fattore vincente per la riuscita del Social Book Day: nessuno dei principali attori dell’universo letterario ha risparmiato il proprio contributo, tutti si sono sentiti in dovere di contribuire alla causa. Gli account Rai e tutti i principali quotidiani, Mondadori, Feltrinelli e Rizzoli (non Einaudi, che si distingue sempre), i principali guru di Twitter, gli editori indipendenti più seguiti, addetti ai lavori e semplici appassionati del libro hanno detto la loro. Una pioggia di quasi 4000 tweet in un giorno, non una montagna (l’hashtag è rimasto nei Trend Topics fino a dopopranzo) ma molti visto l’argomento: #Lorenzoneglistadi, per fare un paragone con l’evento Twitter più recente, ha sollevato 32.600 messaggi; in realtà parliamo però di un fenomeno di larga massa trasmesso in TV: la manna per l’uccellino blu, un connubio da sempre vincente – nel caso di Jovanotti in effetti però ci si aspettava molto di più. Lo stesso non si può dire della lettura: solo il 46% degli italiani, non ci stancheremo mai di dirlo, legge almeno un libro l’anno. Onestamente una vergogna, da qualsiasi lato si intenda vedere la faccenda. La percezione del fenomeno però è stata diversa per una giornata: tanto la piattaforma di microblogging quanto Facebook e l’universo dei blog hanno ospitato commenti, citazioni, pareri, immagini… Ognuno era pronto all’evento, tutti hanno tirato fuori il meglio del loro repertorio, tutti hanno dato un contributo letterario dedicando 140 caratteri (hashtag incluso: da sempre Twitter offre terreno più fertile degli altri social per la cultura) a perle della scrittura o quantomeno ai soliti Wilde, Woody Allen, Coelho e altri mammasantissima dell’universo letterario.
Anch’io, che nel mio piccolo mi occupo di un paio di marchi editoriali su Twitter, ho cercato di partecipare: lo confesso, non mi ero preparato e sono andato a braccio. Nella mia ingenuità ho pensato che il lato positivo di una simile giornata fosse parlare di letteratura: ho pensato di tirar lì un pensiero un po’ banale – la casa editrice è dedicata al viaggio, unire viaggio e lettura non è proprio uno scatto di reni del pensiero occidentale, ma questo offre la ditta – e di vedere cosa succedeva. Splash. Un’idea gettata lì, che non ha creato nessun cerchio nello stagno. Ripetuta con una richiesta specifica – libri da viaggio? – è stata come Will Coyote quando si fa il Gran Canyon in verticale (“Pof!”). I marchi sono pesanti, quindi ho pensato: forse non ho capito come funziona. Ho cercato di muovermi tra i post e i tweet per orientarmi: lo confesso, ho mollato praticamente subito. Perché mi mancava un pezzo.
Secondo me (che conto come il due di picche quando si gioca a briscola) il concetto è questo.
L’editoria soffre, l’italiano non legge. Ok, non serve ribadircelo.
Bisogna spiegare all’italiano che leggere è figo. Sì sì, proprio figo: non bello, importante, necessario. Figo. Altrimenti non è sufficiente: l’italiano fa una cosa solo se fa figo; se un giorno respirare andasse fuori moda ci estingueremmo tutti.
Bene, usare la leva del social network per fare i grattini agli ego altrui è la scelta migliore: lo stai facendo nel modo giusto.
Detto questo, al #Socialbookday, secondo me, che sono il due di coppe a poker, mancava un tema. Gli italiani sono stati gettati in un campo di battaglia senza dirgli a chi sparare.
Mi spiego. Tutti gli hashtag nascono da un gioco, o da una notizia, o da un personaggio. Cambiare i titoli delle canzoni inserendo CACCA o FUCK, grande classico bimbominkioso, o stravolgere interviste sfortunate del politico di turno vivono dello stesso meccanismo: giocare. Commentare tutti la tragedia del momento in diretta o seguire il convegno twittando dal posto idem, essere sul pezzo. Gli 1D in Italia o Miley Cyrus che lecca una palla di piombo si cibano della stessa notorietà. L’argomento “libro”, viceversa, è un po’ come l’argomento “guerra”; o “calcio”. O “musica”. Come fai a parlarne a un dopocena con gli amici, al secondo giro di grappe? Non puoi, ti perdi. Serve un libro nello specifico, o un autore, o un tipo di libri, o una specifica del libro: anche solo, banalmente, un elenco di titoli preferiti. Altrimenti diventa come tirare freccette di 140 caratteri a destra e a manca, senza sapere a chi mirare o come lanciarle. Ecco, il bersaglio: non mi sembrava troppo a fuoco.
Il mio sasso per la costruzione della casa #socialbookday 2014 è questo: una volta appurata la potenza di fuoco dell’evento, una volta compreso il materiale che può uscirne, è il caso di incanalare meglio le forze per non disperdere un simile patrimonio promozionale.
Trasformare l’evento da una gara a chi ce l’ha più lunga (la cultura) a chi contribuisce di più al successo collettivo: in questo caso garantisco almeno tre account Twitter solidali alla causa e armati fino ai denti.