Era intollerabile.
Lei che aveva trovato nella tasca dei pantaloni di lui una penna col nome di un hotel scritto sopra e stava zitta, zitta, zitta, perché se glielo avesse detto lui come minimo avrebbe alzato la voce, negando, “no no, stai mentendo, io quell’hotel non lo conosco, non ci sono mai stato, l’ho trovata nel portapenne in ufficio e l’ho presa, tutto qui”, allora lei non ce l’avrebbe più fatta, sì, sarebbe scoppiata, gli avrebbe gridato addosso tutto l’odio,
la rabbia,
la disperazione,
l’orgoglio ferito,
l’inadeguatezza di moglie, di donna.
Lei che poi aveva azionato la lavatrice ingoiando tutte quelle cose là, l’odio, la rabbia, eccetera. Il figlio, lo faceva per il figlio. Se solo lui se ne fosse andato – non il figlio, eh? Lui, quell’uomo schifoso, quel bastardo che la notte le dava persino le spalle, come se già avere un’altra non fosse abbastanza, “oh, ma meglio così”, si diceva lei, “meglio così” – lei non avrebbe campato con quel che guadagnava al lavoro. La crisi economica, il lavoro che non c’è; era una di quelle donne che si fa influenzare dai giornali, dalla tv, anche se in realtà il suo lavoro andava bene, non benissimo, ma bene, con un po’ di sacrifici una vita a due – lei e suo figlio – sarebbe stata possibile.
La domanda era: glielo dico? Glielo dico che so tutto, che so chi è quella troia che si porta a casa o che raggiunge guidando la nostra auto? Glielo dico di quella volta al bar, le mani nelle mani, una cioccolata bollente in una tazza blu, i biscotti al burro, i cappotti posati sullo schienale della sedia?
Forse meglio evitare. Meglio aspettare la laurea del figlio, che almeno concludesse gli studi, diceva. Almeno lui – almeno tu non deludermi, gli diceva la mattina prima di andare al lavoro, e sicuramente lui non capiva, come poteva capire come ci si sente a tirare avanti un matrimonio, una casa e poi condividere il letto e la vita con un verme.
Prenditi la laurea e poi fa’ quel che vuoi, ma almeno non avrai l’università da pagare, sono spese in meno, e poi finalmente potrò dire a tuo padre che so la verità, e conoscendolo se ne andrà, preparerà una valigia e se ne andrà, fuori di casa, via, via con quella donna, chissà dove, ma poi che cazzo me ne fotte di dove se ne andrà, che se ne andasse, che se ne andasse…
Questa casa è mia, pensava. E’ mia. L’ho tirata su io. Pulita, lavata, asciugata, arredata, come una figlia, una madre malata. Me la tengo io, che se ne andasse, che se ne andasse…
A questo pensava, a tutte queste cose, all’odio e a come si sta male, al figlio, alla casa, al matrimonio andato a puttane; alla laurea di suo figlio, pensava; alla penna trovata nella tasca dei jeans, la cioccolata bollente. E intanto la lavatrice s’era spenta. Dentro, abiti puliti. Come nuovi.