Se tutti andassero nella stessa direzione
il mondo si capovolgerebbe.
Proverbio yiddish.
Una volta c’erano le rock-band. Andavano al ritmo di una chitarra incazzata e gridavano al potere che la vita non ha regole. Le ascoltavamo scuotendo la testa come una pallina impazzita, 5:40 di rito liberatorio, prima di tornare tra le fila ordinate di una vita scandita da gesti preordinati e meccanici. C’era una volta, oggi forse non più. Assopiti da un continuo bombardamento di immagini, parole, notizie, regole, paure, sparate ad una velocità inafferrabile, come il tempo che viviamo.
Un continuo presente, secondo Gündüz Y.H. Vassaf -autore turco apprezzato anche dal Nobel Orhan Pamuk– un presente che dimentica il passato perché le sue ombre non si proiettino nel nostro futuro. È il metodo del totalitarismo moderno, quello che per cancellare la mente gli basta premere ALT+CANC+CTRL. Schiavi delle nostre abitudini, strenui difensori di schieramenti inconsistenti, siamo la moderna rappresentazione di un vuoto democraticamente stabilito. Perché la libertà è un’illusione, che si nasconde dietro prediche e finte credenze, in attesa che la notte arrivi per inebriarci dei nostri peccati, dimenticare i nostri doveri e liberarci delle identità che appesantiscono la nostra anima.
Che Vassaf sia un’abile interprete della sottomissione umana non stupisce, lui che ha preferito abbandonare la cattedra all’Università di Boğaziçi, piuttosto che lasciare che lo Stato militare abolisse la sua autonomia accademica. E Prigionieri di noi stessi (edito Argo, 2013), è uno specchio perfetto di queste sue lotte, in un accurato viaggio nella psiche umana che spazia dalla lode all’oscurità notturna alla difesa della follia passando per la critica del linguaggio moderno, in un susseguirsi di saggi che spiegano, con accurato distacco, il metodo di manipolazione mentale delle società odierne. Le convinzioni della maggioranza eliminano il dissenso, tuona! I peccati ci rendono umani, e i traditori sono un’invenzione di chi non conosce il dubbio, o lo rifiuta per paura dell’ignoto.
Una lettura che rende il senso claustrofobico di vite ammassate e regolate ad arte perché il sistema riduca al minimo la probabilità di cellule impazzite. Un linguaggio semplice e lineare che attraversa le fasi del condizionamento, che spinge alla rivoluzione, quella profonda che nasce dalla consapevolezza di una libertà interiore.
Un grido all’unicità, un inno alla sregolatezza, un richiamo a quel rock dimenticato che nessuno meglio di Baudelaire poteva simbolicamente sigillare: Ubriacatevi! -esorta nella poesia che chiude il libro- “per non essere gli schiavi martirizzati del Tempo: ubriachi! Senza tregua! Di vino, di poesia o di virtù- a piacer vostro!”