Il dolore si tramanda. Si aggroviglia attorno alle nostre esistenze ci accompagna, passo passo, come un ospite indesiderato, consapevole parassita. Allo stesso modo avviene per i mali che affliggono lo spirito e l’anima, Lo sa bene Ildegarda, protagonista del secondo romanzo di Mariapia Veladiano, “Il tempo è un dio breve” (Einaudi), che setaccia la sua vita dal momento in cui il marito l’abbandona all’incontro che le stravolgerà l’esistenza.
E’ un dolore di occhi, di mani, di corpi che non si ritrovano, un dolore fatto di solitudine, che squarcia la superficialità del quotidiano e affonda le sue ragioni nel passato, avviluppando mente e corpo e spossando lo spirito. Ildegarda, figlia di contadini, sposa un uomo bello, di una bellezza acuta e sapiente macchiata dai mali dello spirito della madre, con la quale c’è un rapporto morboso. Lascia Ildegarda e il piccolo Tommaso quando sarà evidente che al dolore non riesce a sfuggire. Rimasta sola con il figlio, Ildegarda si dedica a lui spaventata dall’idea di perderlo e continuamente tormentata da simili pensieri. Tommaso rischia di implodere e Ildegarda non riesce a (e non ha gli strumenti per) salvarlo se non fosse per un incontro in un maso del Trentino con un pastore luterano. Basta uno sguardo per capire che la sofferenza li accomuna. Dieter salverà dall’abisso Ildegarda e farà da padre a Tommaso, dandogli la giusta dose di forza, sicurezza e amore di cui ha bisogno.
Lo spazio tra un avvenimento e l’altro è riempito dalle domande che la protagonista pone a Dio. Incessante, non lascia respiro, non dà tregua. Ildegarda è un fiume in piena, in Lui trova sicurezza, la protezione che nessun uomo riuscirebbe a darle. Poi arriva Dieter. E il dialogo si arricchisce, Ildegarda pone la sua fiducia (e alla fine la sua vita) nelle mani di Dieter. Teologa e collaboratrice di quotidiani religiosi, Ildegarda è una donna che parla con grande sincerità e umanità, che affronta la vita con coraggio chiedendo aiuto a Dio quando sente di non farcela.
In questo senso la scrittura è realisticamente incisiva, corre su binari che la fantasia non conosce, determina il contesto sociale, l’ambiente e i personaggi con una forza che già avevo conosciuto nel primo romanzo “La vita accanto”, ma qui assume contorni più decisi e viene voglia di mettersi seduti con un buon vino davanti a parlarne per ore creando un’atmosfera intima.
La scrittura della Veladiano invita alla riflessione intimistica, alla solitudine rinvigorita dalla lettura. A guardarsi dentro, a interrogarsi per capire, come avviene a Ildegarda, se siamo pieni della gioia divina.