Arrivo in ritardo tra i milioni di cyber addicted che hanno già recensito il libro del momento, La verità sul caso Harry Quebert (edito Bompiani, 2013). E lo confesso, persino davanti ad un regalo perfettamente confezionato ho tardato a sfogliare le pagine del noir dell’anno. Tv, magazines online, giornali e riviste, il libro è apparso ovunque e Joël Dicker, il suo bellissimo autore svizzero, è stato lo scrittore più cliccato dalla seconda parte del 2013 in poi. Un best-seller insomma, e si sa, dietro i best-sellers spesso si nascondono i più temibili nemici della letteratura.
Mai come questa volta, però, mi sono sbagliata. Perché la verità sul caso Harry Quebert non è solo un noir, non è solo un romanzo, ma un calderone di elementi sapientemente calibrati che stordiscono, confondono e attraggono. Al punto tale che è quasi impossibile lasciarlo a metà, lo si deve divorare fino a colmare l’insaziabile desiderio di sollevare il velo della verità. Un desiderio che si dirama con il crescere della narrazione, perché non è una sola verità che Dicker presenta davanti agli occhi del lettore, ma un susseguirsi di rivelazioni che si alternano seguendo l’alternarsi delle vicende.
E se la più semplice domanda sembra essere, chi ha ucciso Nola Kellerger, quindicenne innamorata del professor Harry Quebert? L’attenzione si sposta poi, impercettibilmente, verso mari più profondi. Chi è Marcus Goldman, vero narratore di una storia dentro la storia? Chi è Harry Quebert, voce dietro la voce narrante? In che punto si segna il confine tra realtà e apparente immagine del sé? Come bambole di matrioske, le verità si nascondono, infatti, una dentro l’altra, e per scoprirle si deve oltrepassare la linea oscura che sembra a tratti ingoiare le vite di personaggi solo all’apparenza stereotipati.
É qui che si incastra l’originale scrittura di Joël Dicker, che inganna con un linguaggio semplice e scorrevole uno studio attento di tutta la letteratura, consapevolmente condensata in 700 pagine che scorrono veloci ad un ritmo mai uguale a se stesso. Dalla Lolita di Nabokov, alle atmosfere di Twin Peaks, Dicker si dimostra perfetto conoscitore della provincia Americana e delle sue contraddizioni. La scrittura è come la box, si ripete per tutto il racconto, come nella box fingi un attacco per poi stendere l’avversario con un colpo a sorpresa. Questo è l’ingrediente principale per un best-seller.