Sono uno che dalle persone e dalle cose non si aspetta molto. Figuriamoci poi da un sogno. Va bene, d’accordo, in qualche numero speriamo tutti. Qualche numero da giocare, dico. Lotto, SuperEnalotto, Dieci e Lotto. Avete presente? Ma davvero niente di più. E invece, appena sveglio, ricordavo per filo e per segno (e si noti, non per “sogno”) ogni parola detta in quella stanza triste. Tutte quelle nozioni apprese in quel posto e perfino i suoi odori rimanevano in me. In più stavo facendo economia. Dopo una lezione in collegamento telefonico, ne era giunto- di collegamento- uno, diciamo così, onirico e questo non poteva che far piacere al Generale Foglio Bianco. Informarlo di quella seconda riduzione di costi fu la prima cosa che feci appena sceso dal letto. Era ancora appisolato sul suo- la scrivania- e ho l’impressione che mai ebbe un risveglio così dolce. Era così di buon umore che prese lui l’iniziativa e mi fece: “va bene! Sono orgoglioso del lavoro e non lavoro che stai svolgendo, visto che anche dormendo non perdi tempo. E dimostri, appunto, di aver capito che tempo non ce n’è tanto. Prendo da esempio la tua sollecitudine e ti fisso subito l’appuntamento per la prossima, se così si può dire, seduta. Mi è venuta già un’idea. Se fra gli scrittori che fino ad ora hai incontrato non dovrebbero esserci relazioni molto significative, penso proprio che fra Murakami e il prossimo ci siano e come. Se il primo ha fatto del sogno uno dei suoi temi ricorrenti, chi è stato a raccontarci meglio la coscienza, dalla quale si presuppone derivino?” Capire di chi si trattava non era certo indice di perspicacia, in quel caso. Forse per questo capii subito: non poteva che essere Italo Svevo o, se volete, Aron Hector Schmitz.
L’appuntamento era al “Bar Biturico” per le quattro del pomeriggio. Vi risparmio, perché vi voglio bene, il nome della città. Arrivai al locale in anticipo di una decina di minuti, mi sedetti a un tavolino e dissi che aspettavo una persona. Arrivò alle quattro in punto ed espletate le solite formalità ordinò uno sciroppo per il mal di gola. Mi chiesi se il mio udito quel giorno avesse qualche problema, ma ricordandomi del nome del bar, non potei fare altro che adeguarmi. Vi si servivano infatti soltanto medicine. “Lo stesso anche per me”- dissi al cameriere, non sapendo proprio come cavarmi d’impaccio. Evidentemente a lungo andare Ettore e Zeno dovevano essere ormai la stessa persona. Sorseggiando quel liquido amaro fu con una certa smorfia di disgusto che alla fine gli chiesi: “Maestro, quali sono i vari tipi di racconto?” “Il racconto”- esordì- “considerato a livello di intreccio può definirsi: lineare, se racconta una sola storia (ad esempio Cappuccetto Rosso), ad incastro, quando la storia ne contiene, al suo interno, un’altra (es. la monaca di Monza ne I Promessi Sposi, o Le mille e una notte) e a storie parallele, quando vengono narrate due vicende diverse, con personaggi diversi e, in alcuni punti, c’è l’incontro fra le due storie (es. Renzo e fra Cristoforo ne I Promessi Sposi). Ti faccio un esempio di racconto lineare: si tratta della favola Il lupo e l’agnello nella versione del francese La Fontaine. Ettore prese dalla sua borsa un libro e cominciò a leggere:
La favola che segue è una lezione
che il forte ha sempre la miglior ragione.
Un dì nell’acqua chiara d’un ruscello
bevea cheto un Agnello,
quand’ecco sbuca un lupo maledetto,
che non mangiava forse da tre dì,
che pien di rabbia grida: – E chi ti ha detto
d’intorbidar la fonte mia così?
Aspetta, temerario! – Maestà,-
a lui risponde il povero innocente –
s’ella guarda, di subito vedrà
ch’io mi bagno più sotto la sorgente
d’un tratto, e che non posso l’acque chiare
della regal sua fonte intorbidare. –
-Io dico che l’intorbidi- arrabbiato
rispose il Lupo digrignando i denti-
E già l’anno passato
hai sparlato di me. – Non si può dire,
perché non ero nato,
ancora io succhio la mammella, o Sire. –
-Ebbene sarà stato un tuo fratello.
-E come, Maestà?
Non ho fratelli, il giuro in verità.
-Queste son ciarle. E’ sempre uno di voi
che mi fa sfregio, è un pezzo che lo so.
Di voi, dei vostri cani e dei pastori
vendetta piglierò.-
Così dicendo, in mezzo alla foresta
portato il meschinello,
senza processo fecegli la festa.
Per quanto riguarda invece un esempio di racconto ad incastro, va bene qualsiasi cosa tratta da il Decameron di Boccaccio. C’è una vicenda che fa da supporto e le varie storie- inserite appunto ad incastro- narrate dai protagonisti. Ma siccome ho ancora il mal di gola e le storie sono lunghe non ho tanta voglia di leggere. Farò soltanto un altro piccolo sforzo facendoti un esempio di racconto a storie parallele”. Detto questo il Maestro, tra un colpo di tosse e l’altro, depose il suo libro nella borsa e ne prese un altro. Cominciò così:
“Ti propongo ora un brano tratto da Oliver Twist di Dickens. Ascolta.” Fece l’ennesimo colpo di tosse. “Oliver raccolse tutte le sue forze e rivolse i suoi passi titubanti verso la casa. Il muro del giardino!… Spinse la porta del giardino; non era chiusa a chiave e quindi si aperse. Vacillò attraverso il viale; salì i gradini; picchiò pian piano alla porta e, mancandogli di colpo tutta la sua forza, cadde davanti ad uno dei pilastri del portichetto. Frattanto, quasi a quell’ora, il signor Giles, con Brittles e il calderaio, stava ristorandosi con the e pasticcini nella cucina: seduto con le gambe distese davanti al camino della cucina, con il braccio sinistro appoggiato sulla tavola, con la destra illustrava un racconto molto minuto e particolareggiato del furto subito la notte precedente. – Erano circa le due e mezzo- disse il signor Giles- e voltandomi nel letto credetti di aver udito un rumore.-
A questo punto il signor Giles si voltò sulla seggiola e si tirò addosso l’angolo della tovaglia per imitare le lenzuola. Poi si alzò da sedere e fece due passi con gli occhi chiusi per accompagnare la descrizione con i gesti più adatti, quando sussultò violentemente, assieme a tutta la compagnia, e ritornò precipitosamente alla sua seggiola. – Hanno bussato, – disse il signor Giles.”
Con un filo di voce disse di essere stanco ed io, dopo aver pagato la mia parte di medicine, anche per non correre pericoli di contagio, dopo aver salutato e ringraziato il Maestro mi allontanai dalla farmacia. Ehm, pardon, dal bar.