Immaginate di essere a dieta, una di quelle che ci si auto-impone dopo un’indigestione, motivata più dalla paura di stare ancora male che da una vera necessità. Immaginate ora di essere invitati ad una festa e di vedervi passare davanti ogni ben di Dio, per quanta forza di volontà possiate avere ci sarà un momento nel quale vi direte “solo uno”: è assolutamente inevitabile. A quel punto, almeno per me, sarà la Waterloo della forza di volontà: non potrò più fermarmi. Io questa indigestione ce l’ho avuta quando ho tentato di avvicinarmi, abbastanza circospetta, alla letteratura dei discendenti dei vichinghi. Risultato? Un disastro. Ho detestato Stieg Larsson, sono impallidita di fronte ai commenti entusiastici al libro “Quello che ti meriti” di Anne Holt e, esulando dal genere giallo che pare proliferare dove fa freddo, non ho trovato esaltante “Il mio amico Gesù” di Lars Husum.
È per questo che, davanti al buffet delle novità editoriali, scorgendo “Il messaggio nella bottiglia” di Jussi Adler-Olsen (terzo di una serie destinata a continuare) mi sono ricordata di quel mal di stomaco ma, ovviamente, la lettrice golosa che è in me ha preso il sopravvento sussurrandomi ad un orecchio “solo uno”.
Un misterioso messaggio in bottiglia, scritto con sangue umano, naviga in mare fino a essere ripescato e consegnato ad un poliziotto, dimenticato nuovamente seguirà altre peripezie fino a giungere, finalmente, alla Sezione Q di Copenaghen che si occupa di casi insoluti. L’ispettore Carl Mørck, capo della sezione, e i suoi assistenti Assad e Rose avranno il difficile compito di risolvere il mistero che accompagna quel grido di aiuto, non senza complicazioni. In città infatti è in corso una guerra tra bande e divampano una serie di incendi che, in modo inaspettato, coinvolgeranno anche lo strano trio che si occupa di cold case. All’interno della narrazione un caso si alterna all’altro, come pure le vicende personali dell’ispettore e dei suoi assistenti che nascondono infinite sfumature e segreti ma delle quali riusciamo a intravedere solo una punta. L’iceberg è appena in superficie ma al di sotto dell’acqua il ghiaccio è sicuramente tanto.
La trama, con la successione dei diversi casi, le incursioni nelle vite personali dei protagonisti, i diversi punti di vista da cui viene narrata la storia in un alternarsi di racconti in prima persona, tra cui anche il “cattivo”, rendono questo un libro da leggere a rotta di collo. Non conto le volte che durante la lettura avrei voluto imbrogliare e saltare qualche passaggio per arrivare al finale. Il che da un lato segnala forse qualche pagina di troppo ma, d’altra parte, di sicuro sottolinea ancor di più quanto la storia sia avvincente. L’espediente di rivelare appena qualche particolare sufficiente a costituire un abbozzo, ma non un’idea completa, sulle ombre presenti nelle vite di protagonisti e comprimari rende l’eventualità di acquistare altri libri della serie praticamente una certezza.
L’indigestione letteraria è uno stato mentale -perdonate la confusione tra gli organi- indotta dalla paura di avere tra le mani l’ennesimo caso editoriale/bufala. Mai come in questo caso il preconcetto era irragionevole: questo libro è da fagocitare in un boccone. Rimanete lucidi però, io non ci sono riuscita: presa dall’entusiasmo ho cominciato a seguire l’autore su ogni social al quale sono iscritta. Solo in un secondo momento ho realizzato di non conoscere il danese.