“Lo scrittore può parlare solo di ciò che conosce, la propria vita; poiché la mia vita è Cecina, io parlo di Cecina”
Carlo Cassola nacque il 17 marzo 1917 a Roma, ma trascorse gran parte della propria giovinezza nel nord della Maremma toscana, luogo che divenne la sua patria geografica e letteraria. Dopo aver frequentato i licei Tasso e Umberto I, nel 1935 lo scrittore si iscrisse alla Facoltà di Legge a Roma. Il suo rapporto con la scuola fu tuttavia controverso e la sua esperienza scolastica si rivelò fallimentare: l’autore fu infatti sempre insofferente nei confronti dell’ambiente della scuola e dell’ insegnamento. Nel 1937 cominciò a scrivere i primi racconti e nel 1939 si laureò in Legge, benché non avesse alcuna vocazione per questo settore. Nel 1940 si stabilì in Toscana e prese anche parte alla guerra partigiana; in questi anni uscirono anche due brevi volumetti contenenti alcuni racconti dello scrittore, come Alla periferia e La visita. In queste prime opere Cassola elaborò «la teoria del subliminare»: attraverso la propria prosa, infatti, l’autore cercò di svelare i valori che si nascondono al di sotto della realtà quotidiana. In questo periodo collaborò anche per alcune riviste, come Corrente, Frontespizio e Letteratura e cominciò la propria attività di insegnante a Foligno, Volterra e Grosseto.
Fino al 1946 svolse un’attività politica nel partito socialista, iscrivendosi al partito d’Azione, sebbene ben presto tornò a dedicarsi esclusivamente alla scrittura, pubblicando sulla rivista Il Mondo e Contemporaneo. Nel 1949 la morte della moglie inferse un duro colpo allo scrittore, rischiando di minare le convinzioni poetiche ed esistenziali su cui Cassola aveva basato la propria esistenza e la propria carriera letteraria. Esito di questa crisi umana e poetica fu il romanzo Il taglio del bosco (1954), un’opera priva di pretese letterarie, in cui l’autore esprime la propria desolata constatazione della condizione umana.
Una narrativa più complessa, basata sulla poetica del «subliminare» a cui si aggiungono elementi di cronaca storica e politica, sfocia nei romanzi Fausto e Anna (1952) e La ragazza di Bube (1960); quest’ultima opera ebbe un grande successo di pubblico, aggiudicandosi persino il Premio Strega e segnando il momento di massima ispirazione poetica di Cassola. Tuttavia, se nelle opere di questo periodo si riversa in gran parte l’esperienza antifascista dello scrittore, La ragazza di Bube è invece basato su una vicenda sentimentale in cui si registra l’esaurirsi della tematica politica e sociale a favore di una maggiore caratterizzazione dei personaggi; per questo Mara, la protagonista, è stata definita una delle figure femminili più intense della letteratura italiana del Novecento. L’abbandono della tematica politica sfociò nel successivo romanzo, Un cuore arido (1961), in cui l’autore si sofferma ad analizzare l’esistenza dei propri personaggi, spesso chiusa e appartata. Nello stesso anno abbandonò l’insegnamento per dedicarsi interamente alla scrittura: dopo il successo degli anni Cinquanta e Sessanta, infatti, Cassola proseguì la propria produzione narrativa, sviluppando un risentimento sempre maggiore nei confronti della cultura e della letteratura contemporanee.
Gli ultimi romanzi sono caratterizzati da un ritorno al privato e ad un intimismo che spesso indusse lo scrittore a preferire il vecchio mondo borghese; inoltre, lo scopo di queste ultime opere è evidentemente consolatorio nei confronti di una realtà contemporanea che lo scrittore aborrì sempre e che tentò di contrastare in ogni occasione. Tra questi scritti citiamo: Ferrovia locale (1968), Paura e tristezza (1970) e Fogli di diario (1974). L’autore morì a Montecarlo, nella provincia di Lucca, il 29 gennaio 1987.
Carlo Cassola intessé le proprie opere di due argomenti principali: la vita, colta in tutti i suoi aspetti, e l’attività politica. Benché in gioventù le opere dello scrittore trattassero tematiche esistenziali, l’interesse di Cassola si spostò in seguito verso temi storico-autobiografici, dando vita ad una serie di romanzi incentrati sull’esperienza antifascista dello scrittore. Secondo Cassola, infatti, uno scrittore deve scrivere solo quello che conosce; per questo motivo si parla di una fase neorealista delle poetica dell’autore. Tuttavia, pur vivendo nell’epoca del neorealismo, lo scrittore prese le distanze da alcuni aspetti, come l’accoglimento in ambito letterario del linguaggio popolare e dialettale. Ben presto, anche dopo le pesanti critiche mossegli da Pasolini, Cassola abbandonò il neorealismo per ritornare ai temi esistenziali che gli stavano tanto a cuore. Lo sfondo di queste opere è l’ambiente della vita dello scrittore, ma non più quello della lotta partigiana: è quello della sua Maremma, isolata dalle grandi città, in cui Cassola si immergeva per trovare la tranquillità e la semplicità, fonti, secondo lo scrittore, della massima felicità.