40, Clarendon Rd
London, W11
31 marzo 1941
Caro Leonard,
ho appena appreso la notizia della morte di Virginia.
So per certo che in momenti come questi ogni parola proveniente dall’esterno sia inutile e banale. So anche che vorresti stare da solo a lenire in silenzio il tuo dolore, ed è per questo che io ed Albert non ti chiediamo di raggiungerci appena puoi qui a Londra, anche se sai che qualora ti andasse noi saremmo più che felici e disponibili ad ospitarti.
E’ bene tu sappia che non sei stato l’unico ad amare Virginia. E non mi riferisco alla cerchia dei suoi, dei tuoi, dei vostri amici e conoscenti, e nemmeno agli innumerevoli lettori che di lei si sono invaghiti, per la prosa, per i periodi infiniti, per la vita che traspariva fuori da ogni parola, da ogni pensiero di Clarissa o di Orlando.
Tra quelle persone c’ero – ci sono io. L’ho amata con una passione segreta e travolgente, in silenzio e di nascosto. Quando per la prima volta Albert mi presentò voi, i Woolf, il mio cuore ebbe un sussulto. Eccoli, pensai, sono loro. Eravate così belli, felici. E così diversi: Virginia stava a leggere o ferma a pensare guardando il fuoco del camino scoppiettare, e tu invece così dolce, accomodante, che se avessi potuto ci avresti offerto qualunque bibita e pasto purché rimanessimo a casa vostra.
Mi innamorai sin da subito della vostra diversità, del vostro amore che era così bello da imbarazzarmi: io ed Albert non siamo mai stati quella coppia affiatata che sembrava fossimo guardandoci dall’esterno. Certo, lo amavo, ma solo di giorno, solo quando avevamo ospiti in casa o camminavamo per Londra a braccetto. Voi invece sembravate così…così…non lo so, così innamorati!
Di Virginia mi colpì la riservatezza, il suo viso serio, gli occhi fissi verso il nulla, in cerca di un’ispirazione, l’improvviso irrompere nel silenzio che a volte nasceva con una parola, una frase, un pensiero che forse non c’entrava nulla con il discorso che avevamo appena affrontato, ma che dava inizio ad una serie di frasi, di argomentazioni da trasformare una normale serata tra amici in chiacchiere da intellettuali. Si aggirava con sicurezza e maestria in ogni discorso, che si parlasse di politica, di filosofia, di letteratura o matematica. Era un genio, e tu l’avevi in moglie.
Questo pensiero mi riempiva di invidia ma anche di una felicità lontana, perché di voi sapevo poco e niente e non capivo come fosse possibile essere felice per te, Leonard. Per te che ogni notte dormivi accanto ad una donna così spettacolare qual era Virginia.
Non sapevo delle sue crisi, delle sue depressioni, questo l’ho saputo poco prima che morisse: Vanessa me ne parlò un giorno, davanti ad una vetrina di cappelli e sciarpe in Oxford Street.
Sono sicura che la vostra felicità insieme sia stata esemplare, e che durerà negli anni, anche quando né tu, Leonard, né io non saremo più su questo mondo.
Mi piace pensare che Virginia ora riposi in pace e sia felice, che si sia risparmiata l’ansia e la paura di questi terribili tempi, e le brutture che – me lo sento – questa guerra porterà con sé, radendo i palazzi e le nostre speranze – i nostri cuori, le nostre vite – al suolo.
Ti abbraccio Leonard, e lo fa anche Albert.
Katherine Wilkinson