Fulvio, impiegato postale di poche parole, due figli da crescere e una moglie che tentava di amare ogni giorno, preferiva non affidarsi alla sorte. Anche per questo, nel tempo libero aveva scelto di dedicarsi alla lettura, rassicurato dal fatto che i libri hanno sempre un inizio e una fine.
Fulvio organizzava ogni momento della sua giornata secondo criteri puntuali e inderogabili. Dal ritmo della respirazione, ai pasti, alle pause sul lavoro, al sonno, alle abluzioni, all’intimità coniugale fino ai programmi televisivi. Non c’era niente che sfuggisse al suo controllo, salvo l’obliteratrice della metro. Non riusciva mai a inserirvi il biglietto per il verso giusto, con tutte le complicanze del caso, prima fra tutte l’isteria del resto della fila! Ma a Fulvio bastava concentrarsi sulla sua capacità di gestire le condizioni del tempo per considerare questo un piccolo dettaglio. Era un ottimo conoscitore del meteo.Il caldo, il freddo o la pioggia non lo avevano mai preso in contropiede e non sapeva cosa fosse una febbre, un raffreddore o un colpo di tosse.
Eppure i suoi accorgimenti non lasciavano segni visibili. Dimostrava più dei suoi cinquant’anni e non lo aiutavano i capelli brizzolati e la preferenza per gli abiti gessati; il jeans sul suo corpo smilzo non dava buoni risultati. Ma Fulvio non se ne faceva un cruccio: evitava per partito preso gli specchi.
Al mattino quando andava al bar per bere il primo ed unico caffè della giornata- era consapevole che il suo stomaco mal sopportava gli eccessi di caffeina- rispondeva con un sorriso veloce al buongiorno alla cassiera, Isa. Secondo Fulvio quella ragazza sarebbe stata ancora più bella se avesse impiegato meno tempo per pronunciare il buongiorno. Fosse stato per lui avrebbe cambiato bar ma l’esperienza gli aveva insegnato che quel buco, a pochi passi dalla metro, era l’unica soluzione per evitare ritardi in ufficio. Ricordava ancora con angoscia la mattina in cui aveva bevuto il caffè in un altro bar: il palato ne aveva avuto giovamento ma non il suo badge che aveva registrato ben cinque minuti di ritardo.
Insomma, la vita di Fulvio seguiva una logica ben precisa, nulla era lasciato al caso o alla sorte. Secondo Fulvio – e questo lo ripeteva per onestà intellettuale anche ai figli- la sorte era solo una fantasia cui si appigliavano i pigri cronici, quando le spiegazioni minavano le loro comodità.
Questa convinzione mostrò seri cedimenti un lunedì qualunque quando il suo sguardo si posò su un manifesto affisso nella metro: a caratteri cubitali si pubblicizzava la lotteria Italia. Ebbene, senza una ragione precisa, Fulvio decise di comprare il biglietto. Se non si fidava della sorte, si fidava ciecamente del suo intuito: una voce, di provenienza sconosciuta, lo aveva avvertito che poteva essere la volta buona! Poteva finalmente lasciare sua moglie, garantendo comunque una vita serena ai suoi figli, chiudere con il lavoro e mandare al diavolo quel baciapile del suo responsabile, persona ottusa e impertinente. Fulvio ci credeva. Ma le coincidenze iniziarono a tramare contro di lui. Non trovava mai il tempo per acquistare un biglietto e tutte le volte che tentava di farlo, nei pochi minuti della giornata che lo dividevano dalla spesa, dall’ufficio o dal parcometro, l’ultimo biglietto si ritrovava sempre nelle tasche di qualcun’altro.
E il giorno dell’estrazione Fulvio, abbandonata la fiducia nel proprio intuito, contro ogni previsione, mentre scorreva i biglietti vincenti sul quotidiano si ritrovò a maledire proprio la sorte.Per poco: dopo qualche minuto, placatasi la rabbia, lasciò che la giornata proseguisse normalmente. Non senza una certa amarezza.
Il mattino dopo uscì da casa per andare in ufficio. Come al solito Fulvio indossò il suo abito gessato senza guardarsi allo specchio. Pioveva ma stranamente prese l’automobile, nonostante avesse calcolato che l’asfalto bagnato avrebbe rallentato i tempi per arrivare al lavoro. La tangenziale era ancora semivuota. Il volume della radio copriva il rumore della pioggia battente che scivolava sui vetri. Fulvio proseguiva lentamente, godendosi la guida. Stava pensando che doveva prendere più spesso l’auto perché gli piaceva molto guidare. E gli piaceva anche Isa, indossare il jeans che non gli donava, il caffè e tutti i surrogati della caffeina, impigrirsi per leggere e altre mille cose cui non aveva mai pensato fino a quel momento.
D’improvviso Fulvio sterzò e schiacciò il piede sull’acceleratore.
Guidò fino allo sfinimento.
Si fermò solo a notte fonda per telefonare Isa. Finalmente aveva il coraggio per comporre il suo numero.
Pioveva ancora. Fulvio si accorse di non avere l’ombrello.
Nel bagagliaio dell’auto aveva messo solo i libri. Gli bastavano.