Attraverso ancora una volta l’algida notte, dentro il groviglio d’alberi allungati come l’ombre di loschi figuri, ad inseguire la Libertà che, lune addietro, si prese gioco di me, seminandomi lungo il sentiero della malinconia, decisa a salire sulla carozza galoppante della disperazione.
E come avvolto da un mantello di vergogna, mi scopro a temere persino la luce di quattro stelle, come se pochi occhi possano essere testimoni del misero spettacolo di me stesso e deridermi in coro come un pubblico non pagante da una balconata di fortuna.
Sospetto che in quella fievolezza si paleserebbe il mio sguardo attonito, il mio incedere incerto e ramingo, il mio favellar lento e confuso e quel mio respiro che non è tornato più regolare da quando fu prontamente scosso e turbato acutamente da quel piccolo non troppo casto bacio.
Così Ella, fiera artefice e maestra del prodigioso incanto, si diede alla macchia – forse conscia della precarietà delle mie promesse d’amore? – e con lei se ne andò la mia compagna di sempre, imprendibile incorruttibile cara Libertà!
Fino ad allora! Eh già: perché così inavvicinabile, così scevra ai legami, capace di dissolvere qualsiasi tipo di vincolo o nodo o laccio o catena, quella sera si fece abbindolare come il più fesso degli avventori nelle grinfie d’un abile mercante. Ed io rimasi con quest’assillo nella testa e quel bacio nella bocca.
Se vi chiedeste semmai io l’abbia rivista la risposta è che se vedere è sentire, vedere è sognare, vedere è desidere, allora io l’ho rivista dieci venti cento volte.
Ho sentito la sua nelle voci di fanciulle che accennano timide ad un saluto al passaggio del mio lacerante sguardo. L’ho sognata quando la dissolutezza viene a chiudermi gli occhi in notti senza sonno dentro calici d’illusioni tra cosce bianche e labbra scarlatte. La desidero quando entro nel corpo di colei che mi si è concessa per poco e senza troppi scrupoli, mentr’io vorrei ch’Ella fosse tutte queste voci labbra e cosce.
Non so se questo sia l’Amore, non me lo chiedete. Non ne ho dimestichezza. Salto di fiore in fiore e ognuno, in qualche modo, lo colgo.
So che cerco la nuova e prossima conquista e che con lei s’appaghi la mia virilità. Anche uno sguardo furtivo in un colorato frutteto mi basta, anche lo sfioramento d’una mano nella danza sfrenata di un ballo in maschera: tutto all’infuori di uno di quei non troppo casti baci che prefigurano tutto e non concedono nulla.
E se, nel vorticoso ed inebriato ritorno a casa, da questo circo di danze sguardi sfioramenti, cogliendo un dolce frutto che non sia il seno d’una bionda vergine, ripassasse la carrozza della disperazione, e se anche ci foss’Ella a bordo, seduta accanto alla mia amata Libertà, beh, la lascerei andare, sicuro di trattenerla e farla mia al prossimo giro.