Scrittore prolifico e inquieto vissuto tra il XIX e il XX secolo, leggendo la biografia di H. P. Lovecraft si avverte immediatamente che la principale fonte d’ispirazione da cui egli ha tratto le fobie e gli incubi descritti, sia stata la sua stessa esistenza. Lovecraft scriveva per fuggire dalla vita, sentiva la necessità di lasciare per sempre una realtà crudele, e per questo si serviva della sua infinita fantasia, creando nuovi mondi paralleli.
Nato il 20 agosto del 1890 a Providence, (USA), fu grandioso e inarrivabile perché non scriveva per il suo pubblico, non si piegava alle esigenze del mercato, non scriveva per denaro, ma lo faceva per se stesso e per sconfiggere l’orrore della vita reale.
La sua peculiarità è insita nell’aver creato un mondo fantastico e assolutamente suggestivo, in cui la tematica dell’orrore si colloca addirittura sul piano cosmico.
Il futuro scrittore cresce con le donne della famiglia, presso le zie e la madre, quest’ultima una donna alquanto squilibrata, e incline ad espressioni di comportamento ossessivo. Ad esempio, con il piccolo figlioletto Howard risulta eccessivamente possessiva e protettiva, impedendogli di giocare persino con i suoi amici e con qualsiasi coetaneo. Successivamente, la sua infanzia sarà segnata dai lutti del padre e del nonno, quest’ultimo giunto con pesanti ripercussioni anche sulla stabilità economica della famiglia, che sarà ridotta quasi al fallimento.
Tuttavia, il nonno lascia un bene di enorme importanza in eredità al nipotino: la sua sterminata biblioteca, ricca di libri antichi e di classici, in cui il giovane può immergersi a pieno e attraverso la quale riesce a viaggiare grazie alla sua spiccata fantasia.
Si mostra appassionato in maniera particolare alla mitologia greca e latina, alla letteratura fantastica, fino ad arrivare a pubblicazioni di tipo scientifico. L’influenza di queste letture è ben visibile già a sette anni, quando Lovecraft componeva brevi racconti di ispirazione macabra.
Problemi di salute, legati alla sua costituzione cagionevole, gli impediscono però di completare gli studi della scuola superiore; inoltre, si manifesta in questo periodo il suo stile di vita schivo e solitario, malgrado le numerose amicizie (rigorosamente di tipo epistolare), che smentiscono in parte il soprannome appioppatogli di “solitario di Providence”. Di fatto, comunque, l’epistolario lovecraftiano costituisce un corpus superiore perfino alla stessa produzione letteraria; e non solo per dimensioni, ma soprattutto per la profondità filosofica e squisitamente umana.
Dopo il fallito tentativo di arruolarsi, inizia l’indimenticabile stagione della narrativa lovecraftiana, che è possibile suddividere su per giù in tre fasi: quella dei racconti fantastici, che comprende la sua produzione letteraria più “onirica” e visionaria (unita all’imitazione, talora anche solo superficiale, del “gotico” in “stile Poe”). Successivamente, prendono vita le storie del macabro “cosmico” e filosofico ispirate da una vena decisamente più personale.
In questa fase si colloca il celeberrimo “The Call of Cthulhu” (1926), che prefigura la sua evoluzione verso le tematiche del cosiddetto “cosmicism” e verso la creazione di una pseudo mitologia para-simbolica (che si fonda perfino su un Libro magico di sua invenzione, il “Necronomicon”). Saranno proprio questi scritti a richiamare l’attenzione de cirtici contemporanei.
Negli anni Trenta, invece, si passa ad una letteratura di stampo fantascientifico, di cui fa parte la famosissima “Weird Tales”, che nasce proprio nel 1923, e altre storie come”Amazing Stories” e “Astounding”.
Durante gli anni Venti, Lovecraft non conobbe mai in vita la fama: era sempre poverissimo, e riusciva a sbarcare il lunario attraverso una antipaticissima attività di correzione di manoscritti inviati da clienti tanto facoltosi quanto poco dotati; eppure lo scrittore riesce a trovare la spinta necessaria attraverso la corrispondenza con i suoi ammiratori.
Muore e viene sepolto nel 1937 nella sua Providence, tanto “sua” che sulla lapide nello Swan Point Cemetery egli volle che fosse scritto l’epitaffio “I am Providence”.