Scrittori in erba, amanti delle lettere, sniffatori di libri appena comprati, oggi Letteratu vi propone un argomento al quale non resisterete, ovvero cosa cercano le grandi e piccole case editrici negli scrittori esordienti.
Sappiamo tutti che nelle case editrici ci sono tante figure che si frappongono tra un libro e la sua pubblicazione, ma la più importante è sicuramente quella dell’editore.
Ma come è possibile farsi notare e quali sono in un manoscritto le caratteristiche che possono fare la differenza per emergere?
Molte risposte si potrebbero leggere nel saggio di Luca Pareschi apparso lo scorso maggio sulla rivista letteraria “Allegoria”.
Quella di Pareschi è una ricerca molto interessante, ma ovviamente non deve essere considerata una guida. Il suo lavoro lo ha portato ad ascoltare i pareri di molti editori svelando come cambino le scelte tra piccola e grande casa editrice.
La lingua e lo stile per esempio sono le caratteristiche più importanti secondo tutti gli editori, sono infatti le componenti principali della “voce” della scrittura, ossia quel dettaglio che rende le parole narrativa, che rende lo scritto peculiare e nuovo.
Una volta riconosciuto lo stile bisogna scegliere con cura cosa scrivere, di cosa parlare e quali argomenti trattare, perché temi e storia sono fondamentali per far sì che il proprio manoscritto si avvicini un pochino di più alla pubblicazione.
Molti editori esprimono la propria difficoltà nel definire i temi che funzionano, per loro infatti è più semplice dire ciò che non funziona, in quanto gran parte del loro lavoro si affida all’intuito, una componente molto personale. Secondo le persone del mestiere non funzionano per niente le storie troppo introspettive, le lunghe dediche alle private sensazioni, ai dolori e alle gioie personali, che restano però personali, senza divenire sensazioni universali. Un argomento ormai classico tra gli scrittori esordienti sembra invece quello del ragazzo sui 25-30 anni, laureato, indeciso e impaurito dal futuro, che spende le proprie serate tra discoteche, bevute e amori passeggeri.
Sulla questione dell’importanza dell’istinto per gli editori, la categoria si divide in due grandi gruppi, infatti ci sono quelli che reputano valido un testo se la sua lettura non pesa come fosse un lavoro (soprattutto per le piccole case editrici), e altri che invece cercano nel romanzo qualcosa da comunicare ad altri.
La questione comunicativa è fondamentale per le grandi case editrici, che costruiscono molto spesso un caso letterario dietro a molti autori esordienti. Gli scritti sui quali puntano di più infatti sono quelli che si raccontano da soli e che abbiano la base per un buon passaparola, essendo riassumili con poche frasi interessanti.
Come ho appena detto è interessante notare che le case editrici tendono a spianare la strada agli scrittori esordienti, e per quelle come Einaudi, Mondadori o Feltrinelli, è spesso molto più semplice attirare l’attenzione di giornalisti e media. Ma se da un lato creare il caso letterario può aiutare il libro d’esordio, soprattutto in Italia, la seconda pubblicazione diventa un vero e proprio test valutativo per lo scrittore e il suo editore, e solo un costante successo può aumentare il prestigio di entrambi.
Le case editrici, per sopravvivere, devono però trovare manoscritti che diano loro prestigio culturale e successo commerciale, ed è questo un gioco che ruota tutto intorno alla percezione dei lettori. Spesso accade infatti che un successo commerciale venga sottovalutato, proprio perché consumato da tutti, ma è vero anche che se un libro di grande portata letteraria e culturale fosse letto da cinque soli lettori, resterebbe inutile e fine a se stesso, ed è proprio la grande vendita che ha portato grandi capolavori a cambiare la storia della letteratura.
Insomma, il lavoro di editore non è affatto semplice, e quello di scrittore quanto mai instabile e difficile da avviare. Per una idea più approfondita vi consiglio di leggere il saggio di cui abbiamo parlato: