Nessuno avrebbe mai pensato ad un suicidio. O almeno, nessuno di quelli che la conoscevano. Certo, alcol, vita sociale non proprio ottima, ma non sembrava mai disperata. C’era chi la ricordava ancora come “quella che ballava nuda mentre i compagni la ritraevano”, sia a Londra sia a Parigi. Ma lei non era solo quel tipo di donna. Era anche un’artista. In gamba, famosa e molto richiesta. Come modella e come donna: Roger Fry, per esempio.
Lei fu suo amante. Modigliani, Picasso e qualunque uomo fosse un po’ artista e un po’ bello, meglio se tutti e due.
Nina Hamnett era quel tipo di donna che faceva innervosire le donne non affabulatrici e quelle che lo erano fin troppo e proprio per questo non riuscivano ad ottenere molta approvazione dagli uomini: lei sapeva e sapeva fare, divertiva e sapeva divertirsi.
I suoi quadri furono molto apprezzati nella zona ovest di Londra, ma partire dagli anni Trenta incominciò a preferire l’alcool ed i pub di Soho ai cavalletti, i pettegolezzi all’arte. Fu così che lei incominciò a fare la fine che fece: divenne sempre più trasandata e brutta e antipatica e povera, e di quei balletti nudi nelle scuole d’arte, di quegli spogliarelli alle feste se ne perse il ricordo.
Povera… Come dare torto a quelle malelingue! Viveva in una casa che non puliva mai, il solito 31 di Howland Street. Lo squallore più totale: escrementi di topi sulle coperte, una puzza incredibile nonostante le finestre rimanessero aperte. Cimici, scarafaggi, resti di cibo sparsi per casa. Cenere di sigaretta, libri aperti e abbandonati.
Lo stesso disordine regnò anche nella casa in Westbourne Terrace, dalle parti di Paddington. Sembrava che l’unico posto che riuscisse a renderla serena o comunque che le garantisse un minimo di vita sociale fosse la Fitzroy Tavern, il “pub di sempre”, quello in Charlotte Street, che anche se ora non era proprio comodo e vicino, raggiungeva sempre con piacere.
Se ne stava lì, a bere e a fumare e a spettegolare con i pochi artisti o aspiranti tali che si fermavano a parlare con lei al bancone.
Pochi, molto pochi erano gli uomini che le si avvicinavano. Perché puzzava, era diventata brutta, ed era tanto sporca. Sempre con questa mania delle sigarette, dell’alcool. E poi chi riusciva a capirla? Faceva dei discorsi strani, insensati, sconclusionati… Questa fu la fine di Nina. Una donna che sembrava avesse tutto, anche quell’arte che negli anni Trenta a Londra si andava cercando, tra i pub “giusti” di Soho e le frequentazioni a Fitzrovia.
Chi l’avrebbe mai detto? Da femem fatale a donna malconcia e malridotta.
Non poteva essere un suicidio, quello del 16 dicembre del 1956. Certo, non era una donna molto a posto, ultimamente delirava molto, ma sembrava amasse troppo la vita, così tanto da non prendere minimamente in considerazione l’idea di porre fine alla sua esistenza.
E invece fu proprio un suicidio. Fu proprio da quella finestra di casa che Nina Hamnett si suicidò, precipitando su una recinzione di ferro.