Il mistero, è noto, attrae. Tutto ciò che si palesa solo in parte, o di cui non si conosce la vera natura, riesce a catalizzare l’attenzione delle persone. Questo perché, probabilmente, mette in moto, in ognuno di noi, la voglia di conoscenza, e dà linfa nuova alla curiosità. Anche in letteratura utilizzare il mistero ha sempre portato vantaggi notevoli, ma non solo nella trama e dunque nello sviluppo di un romanzo, ma anche per gli stessi autori. In particolare quando si tratta di pseudonimi. Già, perché nella storia della letteratura sono molti gli scrittori che hanno usato “finti” nomi, o hanno modificato i propri. Ma in fondo, è lecito chiedersi: perché?
Secondo il New York Times, che ha pubblicato un articolo lo scorso anno sull’argomento, i motivi (o i casi) sono principalmente tre: si tratta di donne che vogliono fingersi uomini, di scrittori che hanno “sporchi segreti” da nascondere o di scrittori di un certo livello che si danno a generi commerciali e non vogliono infangare il proprio nome. Tutte motivazioni assolutamente valide. Ma ho provato ad immaginare che possa esserci in questa singolare scelta anche una componente ludica. Scrivere riuscendo a distaccare l’opera da se stessi (cosa che riescono a fare in pochi) e quindi non vivere il proprio lavoro come estensione di sé ma semplicemente come opera pura, da diffondere. E lì nasce l’improbabilità di assegnare a se stessi un nome qualunque, per la scelta più banale di mettersi semplicemente in gioco. O no?
Casi famosi sono stati quelli di Lewis Carroll il cui vero nome era Charles Dodgson e di George Orwell (nato come Eric Blair). Ma anche Agatha Christie ha utilizzato lo pseudonimo di Mary Westmacott per scrivere romanzi d’amore e quindi non confondere il lettore (abituato ai romanzi gialli della Christie). Ma anche in Italia abbiamo avuto casi famosi: basti pensare a Italo Svevo – Ettore Schmitz, Sibilla Aleramo – Rina Faccio e Alberto Savinio – Andrea de Chirico). Molti poi hanno deciso di cambiarsi solo il cognome: Alberto Moravia (in origine Pincherle), Elsa Morant (nata come Lo Monaco). Ma lo pseudonimo può essere anche semplicemente un vezzo come lo è stato per Neruda, all’anagrafe Neftali Ricardo Reyes Basoalto, che ha scelto il nome in omaggio a Paul Verlaine e Jan Neruda. Stephen King ha coniato il nome Richard Bachmann per pubblicare testi sperimentali. Scoperto dai fan, nel 1985, King dichiarò Bachmann deceduto. Caso eccezionale in Italia è quello di Elena Ferrante, scrittrice italiana di cui non si conosce il volto, che ancora oggi resta celata dietro un mistero.
Oggi, forse, scrivere sotto pseudonimo è meno frequente. Probabilmente a causa di quell’ansia da visibilità che hanno tutti gli scrittori. Esporsi e farsi riconoscere, per poi portare a casa anche le lodi è oggi l’obiettivo primo di chi scrive, e di chi dimentica, forse che un libro non è il volto di un uomo ma semplicemente le sue parole.