Sono milioni, camminano come piccole formiche laboriose, dritti come automi verso la loro meta. Qualcuno si muove ancora assonato tra la nebbia del primo mattino, altri -carichi di caffeina- sono pronti con i gomiti già larghi per difendere il loro metro quadro di libertà. Perché la vita è una guerra, e la battaglia più importante la si combatte fin dalle prime ore del giorno. Persone qualunque, anonimi uomini d’affari, volti scarni e assonnati, insospettabili donne di mezza età solitamente pacifiche. Sono loro i protagonisti della feroce lotta, pronti ad “andare ai materassi” con il volto sfigurato dalla ferocia, in nome di un posto nel vagone del treno.
Così Antonio Spinaci descrive con ironia tagliente, tra surreale e cinico realismo, la suprema macchina dei lavoratori Milanesi, armati di giacca e ventiquattro ore, piccoli tasselli di una società che inghiotte le loro identità costringendoli a vivere da morti. In una esilarante e originale visione della metropoli più laboriosa d’Italia, Spinaci si diverte a distorcere le immagini, dipingendo personalità all’estremo, al confine tra reale e assurdo, rappresentazioni perfette dei difetti umani. Dietro l’assurda ironia dell’annuncio di un loculo per i pendolari dell’hinterland, si nasconde una graffiante e acuta analisi del sistema sociale, la mano che, come un racconto Dickensiano, muove i fili delle sue marionette, inconsapevoli vittime che inutilmente si logorano nell’utopica convinzione di possedere anziché essere posseduti. Amare, viaggiare, lavorare, ogni fatto perde senso davanti alla monotona ripetizione dei gesti che fissano i protagonisti nelle loro personalità. Come piccoli pesci rossi costretti a nuotare dentro una boccia di vetro, non c’è modo di sfuggire al sistema, se non quello di assecondarlo e lasciarsi trasportare.
Antonio Spinaci è una piacevolissima sorpresa, brillante, originale, graffiante, la sua scrittura coinvolge e scava nell’oblio umano con intelligenza. Si ride e ci si specchia, perché il riflesso è quello inconfondibile di una società che ha smesso di vivere, indifferente e incapace di riconoscere gli squali in un mondo dove tutto è in vendita e niente ha un valore. Il mondo dei morti si è ormai confuso con quello dei vivi, e Spinaci apre abilmente una finestra su uno scorcio desolante.