Accade alle volte che nel bel mezzo di un cullarsi languido e carezzevole, fra le parole delicate e sinuose di una nenia incantevole e fascinosa, ti fermi. Ti fermi perché sei stato colpito, meglio dire affondato. Resti qualche secondo pensoso, rileggi e tutto sembra ancora perfetto. Forse quelle frasi, quella successione di periodi si erano da sempre cercati. Ma ora quella penna li ha catturati ed ordinati proprio così, tra miliardi di combinazioni possibili. E quella combinazione ha scelto proprio te, tra miliardi di lettori possibili (d’accordo, potenziali, mettiamola così!).
Quello che cerco di dire è che alcuni passi, alcuni stralci di testi, possono essere magici per me ma spazzatura per altri. Conta il fatto, però, che loro, pazienti, mi hanno aspettato ( beh, non potevano fare altro in verità…) ed io li ho trovati. E ritrovati. E quando li ho ritrovati è stato ancora più magico perché ho capito che non si è trattato dell’eccitazione del momento, ma dell’eternità di quel momento.
Ho provato a fare un gioco: ho stilato la mia “TOP FIVE” ( se volete potete fare anche voi la vostra classifica, il gruppo su facebook si chiama “TORNANDO SUI MIEI PASSI”).
5. . “ Sa, è molto bella l’immagine di un proiettile in corsa: è la metafora esatta del destino. Il proiettile corre e non sa se ammazzerà qualcuno o finirà nel nulla, ma intanto corre e nella sua corsa è già scritto se finirà a spappolare il cuore di un uomo o a scheggiare un muro qualunque.”- da “CASTELLI DI RABBIA”- (A.Baricco).
4. “Uno sfrascar sui rami ed ecco, da un alto fico affaccia il capo Cosimo, tra foglia e foglia, ansando. Lei, di sotto in su, con quel frustino in bocca, guardava lui e loro appiattiti tutti nello stesso sguardo. Cosimo non resse: ancora con la lingua fuori sbottò: – Sai che non sono mai sceso dagli alberi da allora ? Le imprese che si basano su di una tenacia interiore devono essere mute e oscure; per poco uno le dichiari o se ne glori, tutto appare fatuo, senza senso o addirittura meschino. Così mio fratello appena pronunciate quelle parole non avrebbe mai voluto averle dette, e non gli importava più niente di niente, e gli venne addirittura voglia di scendere e farla finita.”- da “IL BARONE RAMPANTE”- (I.Calvino).
3. “Cioè…quello che penso io è che magari è proprio per questo, perché la gente sa che un giorno o l’altro dovrà morire, che non può fare a meno di pensare al significato della propria esistenza. Non le pare? Se uno potesse continuare a vivere tranquillamente per sempre, chi mai si preoccuperebbe di pensare sul serio alla vita? Che bisogno ci sarebbe di farlo? E anche supponendo che il bisogno di pensarci seriamente ci fosse, si finirebbe col dire – ho ancora tutto il tempo che voglio, ci penserò un’altra volta-. Però in realtà non è così. Noi dobbiamo pensarci ora, qui, in questo momento. Può darsi che domani pomeriggio io venga investita da un camion e muoia. Può darsi che lei fra tre giorni muoia di fame in fondo a questo pozzo. E’ vero, no ? Nessuno sa cosa può capitare. Perciò noi per evolvere abbiamo assolutamente bisogno della morte. Io la penso così. Più la presenza della morte è grande e forte, più noi ci lambicchiamo il cervello a pensare alle cose.”- da “L’UCCELLO CHE GIRAVA LE VITI DEL MONDO”- (H.Murakami).
2. “ A ogni modo, una buona risata è una gran bella cosa, e una bella cosa è piuttosto rara; e questo è davvero un peccato. Perciò, se un uomo qualsiasi offre a chicchessia, con la propria persona, un motivo per farsi una bella risata, non esiti, ma si disponga invece, con allegria, ad adoperarsi e a farsi adoperare a quello scopo. E siate ben certi che nell’uomo che si porta addosso qualcosa che richiama le risate c’è sempre più di quanto forse non crediate.”- da MOBY DICK (H.Melville).
1.
“Quando era solo, José Arcadio Buendìa si consolava col sogno delle stanze infinite. Sognava di alzarsi dal letto, di aprire la porta e di passare in un’altra stanza uguale, con lo stesso letto dal capezzale di ferro battuto, la stessa poltrona di vimini e lo stesso quadretto della Vergine de Los Remedios sulla parete in fondo. Da quella stanza passava in un’altra stanza esattamente uguale, poi apriva una porta ed entrava ancora in un’altra stanza esattamente uguale, e poi in un’altra esattamente uguale, fino all’infinito. Gli piaceva andarsene di stanza in stanza, come in una galleria a specchi paralleli, finché Prudencio Aguilar gli toccava la spalla. Allora tornava di stanza in stanza, svegliandosi a ritroso, percorrendo la strada inversa, e trovava Prudencio Aguilar nella stanza della realtà. Ma una notte, due settimane dopo averlo riportato a letto, Prudencio Aguilar gli toccò la spalla in una stanza intermedia, e lui rimase lì per sempre, convinto di trovarsi nella stanza vera.”- da “CENT’ANNI DI SOLITUDINE”- (G. Garcìa Marquez).