Toccami- tocca le ossa ormai spezzate- conta i frammenti di quel che resta. Trovami ed io riderò di te.
Marzia Polidoro ha avuto coraggio; coraggio nel rendersi conto che ciò che stava provando era troppo forte per un solo cuore; coraggio nel trasformare in parole le emozioni che combattevano feroci dentro di lei; coraggio nel lasciare che altri potessero leggere, entrare nel suo mondo e forse capirlo e forse no. Ancora di più, ha avuto coraggio nel non trattenersi, nel vivere e viversi completamente, riducendosi a brandelli e poi ricostruendosi pian piano come dimostrano le sue poesie.
Se a questo coraggio si aggiunge il talento che ha mostrato di avere, la giovane poetessa napoletana, che rifugge dalle descrizioni, che aspetta il momento migliore di tutti che dice non essere ancora arrivato, che carica la pistola e spara senza grilletto, che si ferisce e ferisce senza sangue e con grande tatto, ha trovato il modo giusto per farsi conoscere ed iniziare a raccontarsi. Bisognerebbe chiederle quando ha capito che era arrivato il momento giusto per scoprirsi ma probabilmente risponderebbe che così come “C‘è una sigaretta che deve essere assolutamente spenta. Ed è l’ultima” allo stesso tempo ce ne è una che doveva essere accesa, stavolta la prima, di un fumo non tossico.
Le parole della Polidoro squarciano l’aria e arrivano dritte al lettore, nella pelle, nei pensieri, nelle viscere; forti di un’autenticità disarmante e allo stesso tempo così vicina a chi ha vissuto quell’aspettativa, quella delusione, quella speranza, quella sofferenza del sapere di preciso cosa volere e allo stesso tempo non potere fare nulla per averlo.
Nelle poesie di “Quell’albume non è d’oro” c’è però anche la forza di chi, armata di penna, gioca la sua partita con il mondo, dal mondo si difende, davanti a Dio giura che è l’ultima volta che si sfila l’anima, l’ultima volta della dipendenza del ri- vedere, del ri-sentire ancora una volta che deve essere sì l’ultima e l’ultima non è. Non ancora e poi forse si, in un tormento di cose sulle quali non voleva avere ragione di sapere, non voleva avere ragione di sentire che è mancanza e ancora mancanza di quel tutto che è già niente. Se non fosse così sensibile non avrebbe forse avuto quegli spasmi ma, in fondo, neanche quella coscienza che la rende artista, che la rende libera.
Marzia scrive di se’ e degli altri, di chi in quel “Senza nome” si riconosce e si lascia abbracciare dalle parole e di chi da quelle parole rifugge, perché diventano armi in grado di distruggere. Ma c’è sempre un nuovo ardore e una nuova stagione, che lei è pronta a vivere e a manifestare perché al di là di tutto e nonostante tutto si ritroverà.
E se quell’albume non è d’oro perché ingiallito, poco importa; con l’eco delle sue parole, con il suo silenzio ritrovato riesce a far risplendere il sole e a vederlo anche attraverso delle strette fessure di una veneziana chiusa.
Un filo allento distesa senza tempo. Una muraglia mi circonda “giro-giro in tondo” cantano le pietre. Mentre le persone tacciono.