Gus, nomignolo che lo accompagna fin dalla tenera età, è steso sul letto, si gira su di un fianco, poi sull’altro e, stanco di rigirarsi, si mette a sedere con tale foga che alcune piume fuggono alla morsa della federa del cuscino. Una gli si posa sul naso e lui, indolente, si limita a guardarla. Dalla cucina giungono i rumori dei preparativi del pranzo, le domestiche trafficano con le pentole, la madre si lamenta di come sono state pelate le patate e la nipote, Caroline, recita a voce alta una filastrocca. Pensare che credono di fare del loro meglio affinché lui si concentri. È certo di impazzire, come il suo povero cognato, ora infatti vorrebbe irrompere tra loro per urlargli di tacere, ben conscio di non indossare i pantaloni. Si immagina ululare e schiumare dalla rabbia, agitarsi in una danza, magari una tarantella, quel ballo che ha visto fare a quelle donne a Napoli. Com’erano sensuali, minacciose e selvagge, ma no, non vanno bene per lui, non adesso. È deciso, deve allontanarsi o non ce la farà mai, e sono già troppi anni.
La madre piange, pensa che anche stavolta starà via per troppo tempo e che dovrà di nuovo ripescarlo in capo al mondo, lui la rassicura mostrandole la valigia: poche cose per pochi giorni. Sì lo sa che lei ha perso dei figli e no, non vuole andare lontano perché la odia: vuole silenzio per lavorare! Il viaggio per Parigi è breve, arrivato all’Hotel des Écrivain sente che tutto andrà per il meglio. Lo conosce da tempo, ci ha soggiornato spesso ai tempi dei suoi studi universitari, quando cercava pace come adesso. Disfa la valigia e si lascia cadere sul letto. Aspetta succeda qualcosa nella sua testa e, intanto, solleva una mano e si studia le dita grassocce, prima la destra, poi la sinistra, le porta al volto e comincia a piangere. Nulla da fare: la sua ispirazione è scomparsa. Si rannicchia tra le lenzuola profumate, si copre il viso col copriletto e chiude gli occhi, magari dormendo un po’ le cose cambieranno. Mentre sta per addormentarsi un tonfo lo fa sobbalzare, rumore di cocci e poi grida, infine il pianto disperato d’una donna. Si avvicina al muro, appoggia l’orecchio alla parete e trattiene il respiro: tutto tace. Torna a letto e scivola nel sonno.
Il nuovo giorno lo bacia con un raggio di sole che lo sveglia. Si lava il viso, si veste, si profuma troppo e scende nell’ampio salone per la colazione. La giornata primaverile lo ha messo di buonumore e decide di spostarsi sulla terrazza scortato da un cameriere ed è allora che, in corridoio, vede una donna vestita con un pomposo abito verde, ma è un baleno e lei subito scompare. Satollo ed ebbro di sole torna in camera, accosta la seggiola allo scrittoio, prende della carta, la poggia sul piano ma nella sua testa è il buio. Di nuovo sente un pianto, un lamento, stavolta dall’esterno. Non fa in tempo ad uscire sul balconcino e ai suoi occhi si offre solo un lembo di vestito verde: è quella donna. La sente nitidamente litigare con un uomo. La buona educazione gli imporrebbe di ritirarsi ma la curiosità lo incolla lì, dopotutto ha diritto a sapere cosa accade, quelle persone lo stanno disturbando mentre lavora.
Gus affera solo alcune frasi. Lei piagnucola, rimprovera l’uomo, giura d’essere infelice e minaccia di togliersi la vita. Quello le risponde di calmarsi, le dice che se avesse avuto una moneta per ogni sua minaccia di suicidio ora potrebbe offrirle quella vita che tanto desidera. Lei si lascia sfuggire dalle labbra uno strillo che si ferma in contemporanea al rumore di qualcosa che cade. Lui le comunica che sta uscendo a fare due passi e le chiede di raggiungerlo non appena riavutasi dallo svenimento. Non appena quel bruto si allontana Gus si precipita fuori dalla camera, bussa a quella di lei, ma nulla. Deluso e col cuore grondante di pena va via. Vorrebbe salvarla, lui che da anni non si concede all’amore. La ama, la sogna, la immagina ogni giorno della sua permanenza, dimentica il motivo per cui si è ritirato in hotel, pensa solo a lei. Lei che piange, lei che si lamenta, lei che tormenta il marito, che sia l’alba o notte fonda. Scopre di amarla un po’ meno la prima volta in cui essere svegliato lo infastidisce. Scopre di provare solo affetto per lei quando si sorprende a provare pena per quel marito sconsolato che la supplica di aprirgli la porta del bagno, mentre lei minaccia di tagliarsi le vene. Scopre di detestarla quando la sente squittire e giurare amore eterno al povero compagno della sua vita perché questo le ha regalato un cappellino.
Si sente sciocco, ora detesta quella donna insopportabile di cui, in quasi due mesi, non ha nemmeno mai scorto il viso. Immagina di avvelenarla tanto gli è invisa. Lui, Gustave detto Gus, uomo di chiara fama, distratto da una donna frivola e sciocca, tanto da non essere riuscito per tutto quel tempo a scrivere una sola parola. Poi, quando oramai non lo desidera più, accade. Vestito, e profumato troppo, esce dalla sua camera e, per la prima volta dopo il loro unico incontro, la vede. La fantasia di Gus non era stata abbastanza generosa. Quella donna è bellissima. Ora gli è chiaro perché il marito non se ne libera: ha degli occhi in cui ci si potrebbe perdere. La desidera di nuovo, dolorosamente, eppure continua a odiarla. Vedendola vestita per lasciare l’hotel si scopre affranto e sollevato insieme. Lei forse immagina quali pensieri lo agitano e, impudente, sostiene lo sguardo.
“Spero perdonerete l’audacia, madame, ma siamo vicini di camera da tanto… posso osare esprimervi un mio desiderio?”
“Ditemi, monsieur, giudicherò poi se acconsentire alla vostra richiesta, ma voi domandate pure”
“Solo conoscere il vostro nome, madame, solo un nome da poter ricordare”
“il mio nome è Emma” e senza aggiungere altro si allontana sorridendo.
Gustave Flaubert riapre la porta della sua camera e si lancia verso lo scrittoio. “Emma”, sospira, e finalmente riprende a scrivere. Ora è sua per sempre in quelle pagine, anche se non può rivederla mai più. Per fortuna.