Esistono molte specie di diversità, si può essere alti o bassi, belli o brutti, biondi o mori ecc ecc. E poi si può essere magri o grassi. Quest’ultima distinzione non è come le altre, non è lecito nascondersi dietro a un dito: essere obesi è un’altra cosa. Alto o basso ci nasci, obeso lo diventi. Come può la società dell’apparire inglobare al proprio interno e perdonare chi è tanto fuori dai suoi standard? Se il modello conforme è quello della silfide, e il sovrappeso è appena tollerato, è chiaro che l’obesità sia vissuta da chi ne è affetto e da chi con questo si relazione come una colpa. Una malattia di cui si è colpevoli. Di malattia trattasi infatti: grasso è bello, non tanto per le arterie. Caterina quella colpa se la prende tutta, ne fa una maschera per tenere celato il suo malessere, si nasconde sotto strati di grasso e si punisce. Caterina è Caterina solo a casa sua, nel resto del mondo lei è Cateciccia.
“Cate, io”, di Matteo Cellini, è il racconto di un pezzo della vita di questa ragazza grassa e intelligente, eroina sui generis, originale protagonista di un libro che offre il punto di vista di un’adolescente così sommersa dai pregiudizi propri e altrui che questi paiono essere tanto più pesanti dell’adipe che la tormenta. Caterina poi non è solo obesa, ma è figlia, sorella, nipote di obesi. Sebbene il topos grasso uguale contento si sia dissolto oramai da tempo, Cellini ci offre allo sguardo la nudità dell’animo di una ragazza –sì, per una donna essere obesa è peggio che per un uomo- così concentrata su di sé, così cosciente di essere fuori dagli schemi, da divenire la propria prima carnefice. Ma Caterina vive anche gli altri turbamenti dell’adolescenza: il rapporto con i genitori, la necessità di trovare una dimensione, le difficili relazioni con i coetanei, l’amore quasi inaccessibile a causa del peso. Questi comuni arrovellamenti dell’età Caterina li vive appesantita, tanto dalle dimensioni del suo corpo, tanto dall’atteggiamento autoescludente nei confronti del mondo.
Finalista all’edizione 2013 del premio Strega e vincitore oggi del Premio Campiello Opera Prima 2013, “Cate, io” è un libro sui generis per molti aspetti. In primis la scelta di una protagonista che si sente non-persona, ma anche la scelta di un registro stilistico e linguistico particolare. Cellini infatti sceglie di far raccontare a Caterina in prima persona e, il risultato, è un flusso di pensieri ma controllato. A tratti seguire il periodare non è semplicissimo ma nemmeno è mai ostico, si ha la sensazione di intuire la logica di Caterina e di poterne quasi anticipare i pensieri, le reazioni, le emozioni prima ancora che li esprima o agisca. Questo senza dubbio le conferisce una verità, un’esistenza, fortissima.
Tocca molte corde questo spaccato di una vita, commuove a tratti, ne ha toccata una mia personalissima e riuscire a non piangere è stata fatica sprecata, ma anche fa sorridere e consola. Ecco l’unico neo della storia: risolve e salva troppo, dando al finale una dimensione favolistica. Il finale però ha una sua perfetta costruzione e, sebbene non necessariamente condivisibile, non è rimproverabile questo di eccesso di bontà. D’altronde il personaggio in pochissime pagine è costruito in una maniera così reale che immagino sia stato impossibile, per chi lo ha creato, non affezionarcisi.
Caterina è un personaggio così grande che non lo dimenticherete, e non mi riferisco affatto al suo peso.