Photo by nerdontheinside
Lo chiamavano Il pittore di anime, anche se non dipingeva affatto. Si sistemava con un blocco di fogli bianchi al centro di una piazza o al lato di un largo marciapiede e per due soldi ritraeva la gente. La ritraeva con le parole. Scriveva di loro proprio come se fossero i protagonisti di un romanzo. Iniziava con descrizioni fisiche, esposte nello stile più raffinato, fino ad arrivare agli aspetti più intimi del carattere. Dove l’occhio non arrivava, lì entrava in gioco l’intuito… e leggeva l’anima.
Arrivava un omaccione barbuto, dal portamento trasandato e con una banconota da cinque euro più spiegazzata del suo stesso giubbino, e Il pittore scriveva di lui come se fosse stato l’amico di tutta una vita.
La commessa del negozio, il professore di liceo, il salumiere in pensione, l’attorucolo con la scintilla negli occhi: tutta gente tra la gente, che nella mano del pittore diventava viva davvero: bastava qualche riga per dipingerne l’anima.
A lavoro concluso, la gente leggeva di sé ed era come specchiarsi in un quadro di parole. Qualcuno arrossiva, qualcun altro sorrideva, altri ancora s’infuriavano. C’era chi vedeva i propri sogni, chi le insicurezze. Dipinti nero su bianco. Senza cornice, come le metafore.