Quest’anno ci sono stato anche io, come l’anno scorso e come sempre, da ormai più di dieci anni.
Sabato pioveva forte, fortissimo. Sembrava inverno: il cielo grigio, i volti dei passanti cupi come i loro vestiti. Mi sono incontrato con una ragazza giapponese, una ragazza che conoscevo poco e niente, con cui ho parlato solo tramite internet.
Ci siamo immersi nella calca, facendo oscillare gli ombrelli ancora zuppi in mezzo al caos più totale. Ma era un caos che paradossalmente aveva un che di armonico: eravamo tutti là per leggere, per scovare il libro che per tutto l’anno non abbiamo mai provato e magari, ora che c’è la fiera, ora che ci sono gli stand di tutte le case editrici, forse riusciamo a trovare Era un caos fatto di sorrisi, di “permesso” e di “ma che caldo”. Lì, nella bolgia della passione, dell’amore per la lettura, ci muovevamo come smarriti, facevamo avanti e indietro per gli scaffali, sfogliavamo questo e quel libro, a volte ne sentivamo anche l’odore. Quello della carta, dell’inchiostro.
Kumiko era un po’ disorientata, si guardava attorno curiosa e affascinata ma non s’allontanava mai dagli scaffali vicino alla cassa. Mi ha chiesto cosa volesse dire “lucernario” e mi ha prestato un libro di Kobo Abe, scrittore che adora.
Le nostre culture si sono scontrate in mezzo agli occhi di Virginia Woolf e Franz Kafka, Jane Austen e Mary Shelley, Shakespeare e Orwell. E poi Alessandro Baricco, Banana Yoshimoto, scrittori conosciuti ed emergenti. Mi ha spiegato che il Giappone non è solo negozi e grattacieli e fiori di pesco. E’ anche disoccupazione, caos, le strade di Shinjuku sono mille volte più affollate di quelle torinesi. Ho conosciuto questa ragazza nel luogo più incantevole che conosca e nell’aria c’era così tanta voglia di conoscerci che gli acquisti che ho fatto sono stati frettolosamente. Non ho ispezionato con cura le sale e gli stand, mi sono diretto dove le nostre parole ci portavano, qua e là, tra stand grandi e piccoli, in quelli in cui era difficile entrare e quelli che invece ospitavano solo due o tre persone.
Quest’anno è andata così. I libri non sono stati come al loro solito il fine di una giornata, ma il mezzo, quella tazzina di caffè fatta di parole e di carta che stava tra me e Kumiko. Un ponte invisibile e fantastico che ha connesso per un’ora o poco più Torino e Tokyo.
Con i libri è possibile e noi ce l’abbiamo fatta.