Centro di Bologna. Un giorno d’estate. Eccoli lì: Piero, Lori, Dany, Ale. Solito bar, solito tavolino sotto i portici, solita bottiglia di birra tra le mani.
“Raga, ma fa un caldo oggi!” esordisce Lori, sollevando sulla testa gli occhiali da vista.
“Ricominci con le dissertazioni sul tempo?” gli chiede di rimando Dany, grattandosi la barba.
“Fa caldo, sì!” conferma Ale, come assorto.
“È questa città. È dannatamente calda. Un inferno. Non la sopporto più.” conclude Piero asciugandosi la fronte con un fazzoletto.
“Potresti sempre tornare dalle tue zanzare, ferrarese!” ironizza Dany.
“Spiritoso!” lo scimmiotta Piero.
“Raga, perché non si va su? Si prende una boccata d’aria e si mangia dalla Franca!” entusiasta Lori lancia la proposta.
“Ma tu pensi sempre a quello?” s’indispettisce Piero.
“Si, lo so io a cosa pensa: gnocca e poi ancora gnocca!” Dany, seguito dagli altri, esplode in una fragorosa risata.
“Tanto la Franca non te la da. Dovresti essere molto abile con L’Orso alle calcagna.” aggiunge Piero che pure, un paio di volte, ci ha provato.
L’Orso, il marito della Franca, è il gestore dell’omonima osteria sulle colline, appena fuori città, cosiddetto perché il nome Bruno, associato al suo carattere duro e selvaggio, ben si presta a quel gioco di associazioni. La Franca, del resto, ha una certa colpa nel far emergere la natura selvaggia del consorte poiché non nasconde le sue grazie alla vista degli avventori e la cotoletta alla bolognese insieme alla sua sesta in bella mostra, sono un’attrazione imperdibile e senza tempo per i maschietti della città.
“Ma non è stasera la partita?” Ale si desta come da un malcelato torpore.
“Ehilà! Buongiorno! Ben sveglio! Dormito bene?” lo canzona Dany. E gli altri giù a ridere.
“Sì, è stasera.” dice Piero. Poi aggiunge sconsolato: “Ma come si fa a giocare con questo caldo?”
“Piero, non farti venire malattie. Stasera si gioca e gli si fa il culo!”. Con l’aria da duro Dany manda giù l’ultimo sorso di birra che resta nella bottiglia.
“Ma io che c’entro?” prova a dire.
Dany balza dalla sedia: “Beppe! Beppe! Portami la scopa!” urla in direzione della porta spalancata del bar.
“Che avete combinato?” chiede da dentro la voce rauca del proprietario.
“Ma nulla Beppe! Porta la scopa! Porta la scopa!”
L’omaccione di un metro e novantasei, ex giocatore di basket, trafelato e sudatissimo, esce dal bar, con aria scoglionata, dicendo: “Voi e le vostre cazzate.”
“Grazie!” dice Dany strappandogli la scopa dalle mani. Poi tira giù Piero dalla sedia e lo fa inginocchiare ai suoi piedi.
“Ma che cazzo fai?” chiede quello.
“Stai giù, ferrarese!” Dany tende la scopa davanti a lui come una spada e con solennità la fa passare da una spalla all’altra accompagnando il gesto con queste parole: “Io Dany, signore della Real Casa del Rutto, dimenticando le tue disdicevoli origini, ti nomino cavaliere e cittadino. Da oggi presterai servizio alle dipendenze della città e della casa e non ti sottrarrai ai doveri di un buon servitore ”.
Mentre gli altri si scompisciano Piero si rialza e, fingendosi seccato, addita Dany dicendo: “Tu sei un coglione!”
“Eh no! ” specifica Dany “Ora sei uno di noi. E stasera tu giochi, cazzo!”.
Gli altri soppesano con lo sguardo la birra che resta nelle bottiglie, poi le sollevano e le fanno tintinnare, brindando al grido di “Gli si fa il culo!” e giù di nuovo a ridere e a ruttare come maiali.
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Piazza Santo Stefano. Al tramonto. Dany, capitano e centravanti, barba lunga e improponibili calzoncini corti; Lori, a stropicciarsi gli occhi sudaticci dietro gli occhiali, in porta; Ale, sveglio quanto un gatto dopo la pennichella pomeridiana, in difesa, e Piero, fresco d’investitura e poco convinto, un po’ dappertutto.
“Eccoli che arrivano!” grida Ale.
L’Atletico Casato della Scorreggia si presenta nella sua formazione classica: Gianco, capitano e portiere detto Il Geometra, per la sua capacità di fare tutti i calcoli più complessi con un solo sguardo e di creare le figure più strane col suo corpo pur di prendere la palla; i gemelli Adry e Ste, Gli Avvocati, abili nelle difese più improbabili e noti per la fallosità sempre sul filo del penale; il Vanni, detto Peso Specifico, un metro e cinquanta di altezza e di larghezza, una palla dietro una palla, imprendibile punta e per finire, a centrocampo, Sergio, detto Leone, facile intuirlo, abile regista, in grado di passare dal campo lungo al primissimo piano nel giro di pochi secondi.
“Quattro contro cinque?” chiede sbalordito Piero: “Ma perché?”
La sua domanda rimane inascoltata. Senza dirsi una parola i capitani del Real Rutto e dell’Altetico della Scorreggia si stringono la mano. La monetina viene lanciata in aria e la partita comincia.
Se le danno di santa ragione per regolari trenta minuti a tempo. Ale, fermo come un palo, si fa smarcare dal Vanni che letteralmente rotola sul campo. Adry e Ste sembrano sdoppiarsi e raddoppiarsi in difesa e stoppano, sistematicamente, ogni tentativo di Dany di tirare in porta. Falli e punizioni a gogò. Nessuno può espellere nessuno perché l’arbitro non c’è e così si accusano reciprocamente di falli inesistenti e si attribuiscono motu proprio punizioni non spettanti, sotto gli occhi vigili delle teste delle Case Tacconi.
Il ciottolato della piazza e la pendenza rendono difficile il gioco a terra e tra colpi di testa, rimbalzi e sforbiciate, malriuscite acrobazie aeree, si tenta l’impossibile. Piero passa da scatti improvvisi, solleticitato dalle urla di Dany, a momenti di assenza e pura osservazione. Dopo l’ennesimo fallo degli Avvocati, che buttano a terra Dany, si decidono due minuti di recupero ed è lì che le cose cambiano. Il Vanni, scivolando su un ciottolo, perde palla. Piero, per puro caso, si trova da quelle parti: è un’occasione d’oro e non se la fa scappare. Corre più veloce che può e dribblando prima Leone poi i gemelli, improvvisamente inebetiti o, forse, finalmente fiaccati dalla stanchezza, infila la palla in rete o, almeno, in quella che vede nitidamente nella sua testa. Il Geometra viene freddato da un tiro secco e preciso come un colpo di fucile.
“E vai!!!” urla Dany. Il Real al completo corre ad abbracciare Piero. Il recupero termina nel preciso istante in cui, dopo averlo sollevato per le gambe, Piero alza il braccio puntando l’indice al cielo in segno di vittoria.
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“Mi spiegate perché giocate in quattro contro cinque?” Piero ha trattenuto quella domanda ben oltre i sessantadue minuti della partita e non può fare a meno di tirarla fuori di nuovo, appena gli si presenta l’occasione, al bar di Beppe, un’ora dopo. Ma ancora una volta la sua domanda rimane senza risposta. Dal fondo del porticato l’Atletico al completo si avvicina a passo svelto, con una certa minacciosità.
“E ora che vogliono?” chiede Piero, sopreso ed intimorito.
Quando sono prossimi, gli sconfitti, sfilano le sedie da sotto agli altri tavolini e le avvicinano a quelle dove Piero, Lori, Dany e Ale sono seduti.
“Beppe, il solito!!!” grida Dany entusiasta.
Piero non capisce. Quando Beppe esce col vassoio pieno di birre ripetendo: “Voi e le vostre cazzate”, stavolta sorride.
Le espressioni dure e le smorfie di sfida sulle facce del gruppo attorno al tavolo, si sciolgono in sorrisi cordiali e sguardi complici e quando tutti sollevano la propria birra verso l’altro, Piero li imita senza sapere il perché.
“Alla tua salute, Mauri!!!” gridano in coro, con le lacrime agli occhi.
Solo a fine serata, dopo tre o quattro birre di troppo, qualche rutto liberatorio e una serie infinita di aneddoti sulla scombinata e brizzolata compagnia, Piero saprà che quella partita si gioca ogni anno, da trentacinque anni, il 18 luglio, e che il quinto che manca alla squadra del Real è Maurizio, venuto a mancare a soli vent’anni, proprio in quel giorno.
Maurizio, che non sapeva di avere il cuore malato e tirava calci ad un pallone in Piazza Santo Stefano, rosseggiante al tramonto.
Maurizio, che sognava di fare il calciatore, che forse oggi ha fatto inciampare il Vanni e gli ha fatto segnare il primo gol in quel derby senza tempo che da ora in poi, Piero se lo promette, non mancherà mai di giocare.