Salvatore Scalia, Fuori gioco, Marsilio, 2009.
Perché la vita, a volte, somiglia a una partita di calcio. Puoi venire ammonito, puoi essere espulso. E se non hai gli occhi bene aperti, l’arbitro può fischiare un fuori gioco ed annullarti una rete.
Ha un titolo che è già in sé una metafora, il romanzo di Turi Scalia. E un sottotitolo che riassume sogni, speranze, illusioni andate in fumo come un gol che non va a segno: Vita bruciata di un calciatore di provincia.
Perché la vita, come la carriera di un calciatore, è un Bildungsroman, un romanzo di formazione. Qui amarissima: perché il protagonista si renderà conto di aver sprecato la sua esistenza, anzi di averla arsa come sotto una colata lavica di quell’Etna che campeggia sulla natia Mascalucia.
Amore, ambizioni sportive, le radici familiari e di paese, nulla resiste: il libro, bipartito come la vita del protagonista, mostra la parabola – altro termine calcistico, altra metafora – di un’esistenza che è un tiro maldiretto, un attacco inane, una difesa carente e svogliata.
Perché la vita, come il calcio, non sempre premia i giocatori più bravi. Perché è facile smarrirsi, in campo e fuori dal campo, sprecare le occasioni come i passaggi migliori. Perché il carrierismo, la corruttela, il cinismo dilagano sul manto erboso e sulla terra di Sicilia. Nell’Italia tutta.
E allora il calcio diventa la metafora di un fallimento esistenziale.
Dopo La punizione (che ha vinto il Premio Vittorini per l’Opera prima) Salvatore Scalia ci regala un romanzo fatto di pallone, di sudore e d’erba – e Malerba, erba cattiva è Paolo, il calciatore tradito dal calcio e dalla vita perché tradisce se stesso.
E non sembrerà strano trovarci Empedocle, in questo libro che parla di calcio per parlare d’altro.
Ho posto qualche domanda a Turi Scalia, intellettuale dagli interessi sfaccettati: autore di teatro e saggistica oltre che di narrativa, corsivista e fondista.
Nella tua vita di uomo, giornalista e scrittore che posto occupano la letteratura e il calcio?
La letteratura, ma direi la cultura in generale (storia, sociologia, economia, critica letteraria, mitologia, fisica), occupa il posto centrale. Il calcio è stata passione di gioventù, poi ha avuto un ruolo assolutamente marginale. Ora, poiché “La Sicilia” mi ha chiesto di scrivere sulle partite del Catania, mi è tornato l’interesse, ma direi che è professionale e che è più volto al pubblico che ai calciatori.
Secondo te c’è un rapporto tra calcio e letteratura? L’immaginazione, la fantasia, la disciplina, la struttura stessa del gioco hanno qualcosa a che fare con il raccontare una storia?
La letteratura può avere rapporto con tutto, poiché essa stessa è artificio linguistico che si fonda sul rispecchiamento o la deformazione dell’esistenza. Il calcio è invenzione, intuizione e geometria applicata. Gli si possono applicare tante metafore letterarie, ma ha piuttosto l’imprevedibilità dell’intuizione poetica che la struttura del racconto. La prosa nel calcio è noia.
Il tuo romanzo FUORI GIOCO già nel titolo contiene una metafora calcistica, anche se tu mi confidavi che il calcio è una sorta di pretesto per parlare di altro. Puoi spiegarci meglio il tuo intento narrativo?
Fuori gioco deve essere interpretato su due piani: si richiama a una regola del calcio ma per me è soprattutto metafora di una condizione umana, della marginalità e dell’impotenza di vivere.