Chi lo dice che il cambiamento di una città debba essere per forza in peggio?
Trasportati dal malessere comune, oggi, generalizziamo individuando nel mutamento una forma di regressione, spesso senza prima aver guardato con i nostri occhi. Aldo Cazzullo, nel suo romanzo I ragazzi della via Po, che sarà pubblicato nuovamente da Mondadori con una nuova prefazione, dello stesso autore, ci parla di una Torino mutata, una città che non è più quella degli Anni Sessanta dove tutto sapeva di nuovo, di moderno. Torino, in quei tempi, era il tempio della tecnologia, della pubblicità, della cultura e dell’arte. Ma anche la fine del secolo non appartiene alla città descritta da Cazzullo, la Torino impaurita e in declino, timorosa e incosciente che non sa andare avanti. Allora di quale Torino ci parla l’autore? Ci parla della Torino della rinascita, quella che è consapevole di sé e dei propri meriti, quella dei grandi autori: Umberto Eco, Furio Colombo, Gianni Vattimo, Claudio Magris, Edoardo Sanguinetti, i ragazzi di via Po, appunto. Studenti universitari che hanno saputo imparare. Formati da un’educazione cattolica e classica, hanno appreso fino a capire il valore dell’arte e della letteratura, della storia e del sacrificio. L’epoca di cui ci racconta Cazzullo è l’epoca del “non importa cosa si ha ma come lo si sfrutta”: erano tempi diversi da quelli di oggi, dalla Torino martoriata e condannata di oggi. Una città che nasconde però infinite sorprese che nessuno è ancora pronto a scoprire. Dai centri storici restaurati ai nuovi musei, dalle mostre alle gallerie. Si sente odore di cultura nella Torino di oggi, si vedono giovani ansiosi di fare, vogliosi di dire. Non è quella città distrutta dai fallimenti industriali che tutti conoscono, Torino non è solo la Fiat, Torino non è solo la Juventus, Torino non è solo bugie. Torino può essere di nuovo il centro del Risorgimento italiano, quello che ha visto crescere scrittori come Elemire Zolla, Pietro Citati e Guido Ceronetti, giornalisti come Giorgio Bocca e Giampaolo Pansa, artisti come Casorati, Cremona e Spazzan e manager come Gianni Zandano e Gianni Biglia. Perché forse si stava meglio quando si stava peggio, per dirla con un qualunquismo puro, perché, sì, dalle difficoltà nasce sempre qualcosa di buono. Allora non disperiamo perché questa recessione tutta occidentale potrebbe essere un modo per riscoprire se stessi, la propria città, il proprio Paese e quindi tornare a sperare nel proprio futuro. Come ha fatto la Torino di Eco.