Mio marito Giorgio mi porge il cappotto, siamo pronti per andare a cena da Carlo e Renata, quando il mio cellulare emette un bip. Come è normale, d’istinto, si volta per prenderlo e passarmelo, ma io intanto muoio dentro, ero certa di aver tolto la suoneria. Non ha mai controllato i miei sms, le mie mail, non mi ha mai seguita, è un uomo che ha fiducia, non tanto in me quanto in se stesso. Chissà perché allora ho paura che stavolta apra il telefono. Ovviamente non lo fa ma attende placido lo faccia io, e io eseguo. Leggo. È Renata che mi chiede di portare, se ce l’ho, del pane, non avrei retto alla tensione di dover mentire così, dritto sul muso, a Giorgio. Usciamo.
Un’altra bella serata a casa di amici, chiusi tra quattro mura, solite cose, risate, giochi, noi. La mia mente vaga e ricordo. Ricordo Simone su di me, le sue mani che mi stringevano i glutei sollevandomi di poco ma tirandomi forte a sé, lo sentivo grande, potente, e io, piccola in balia del suo potere, mi abbandonavo a lui chiudendo gli occhi, avvicinando l’orecchio alla sua bocca per sentirlo ansimare, consegnata e arresa al suo calore e alle sue mani. Erano anni che non pensavo a lui e poi quella mail. Non c’erano promesse d’amore, non pentimenti, non mi chiedeva di tornare, egoista come sempre mi comunicava il suo desiderio. Quando l’ho letta mi è mancato il respiro, come fossi sott’acqua, ho spento il pc e ho mangiato della cioccolata, poi ancora cioccolata, poi dei crackers, poi delle patatine, poi una merendina. Volevo ingoiare tutto il mio turbamento. Non ho resistito a lungo, ho risposto. Ci siamo scambiati mail deliranti, liti e ricordi, recriminazioni e messaggi d’amore, mentre mi ripetevo che non facevo nulla di male, che fino a che si trattava di parole allora ero salva, e ho continuato, da tre settimane fa ad oggi.
Ho un bisogno impellente, in una pausa tra il Trivial Pursuit ed il Taboo, vado in bagno. Ho un bisogno impellente di lui. Seduta sul pavimento, brutto, del bagno di Renata, gli invio un sms, gli scrivo la mia voglia e resto in attesa, ma non risponde e devo tornare di là. Infilo il cellulare in una tasca dei jeans e quando lo sento vibrare contro la mia anca un calore irresistibile mi arrossa le guance, e il ventre, per fortuna quello non possono vederlo.
Arriviamo a casa e io sono in apnea, lancio una scarpa, poi l’altra e guardo Giorgio, non appena si infila il bagno estraggo il cellulare. “Vediamoci, sei mia”, solo questo, nulla più. È solo un attimo, ma il mio mondo è in pezzi e io sono già sua. Io che lo lecco, io che lo mordo, io che lo graffio, io che dico il suo nome perché so che lo fa eccitare. Io nel suo letto e nella sua stanza che conosco a memoria, io di fronte allo specchio e lui dietro di me. In pochi caratteri l’intera mia vita è andata in pezzi, come allora. Ecco, un’onda di pensieri mi schiaffeggia, ora ricordo l’abbandono. Il desiderio potente che lo conduceva a me, che faceva dei suoi palmi lo strumento con cui condurmi a sé e straziarmi, e prendersi quello che voleva mentre io prendevo lui e quello che volevo. Ma solo lì, solo allora, niente più. Mi voleva su di lui, sotto di lui, non con lui.
Non posso, io non posso. Rispondo “Addio”.
Giorgio torna in boxer, io sono già a letto. Facciamo l’amore, lui ha i calzini, io ho tolto solo gli slip. Mi manca l’adrenalina. Chiudo gli occhi, dura poco. Non è spiacevole anzi. È… carino, la mia vita e il sesso meritano quest’orrendo appellativo.
Buonanotte, amore.