Abbiamo lasciato Dante e Virgilio intenti ad ascoltare il meraviglioso canto di Casella, interrotto dalla voce di rimprovero di Catone, il custode del regno che aveva riportato tutti, sia le anime che i due poeti, ai rispettivi compiti: compiere l’ascesa di espiazione per i primi, e ovviamente proseguire nel cammino per i secondi. È da qui che ricomincia la narrazione, con Dante che riflette sullo stato d’animo della sua guida: Virgilio appare in preda al rimorso per aver ceduto ad un sentimento umano ed esser venuto meno – anche solo per pochi attimi – al suo compito. O dignitosa coscienza e netta, come t’è picciol fallo amaro morso!: le coscienze così pulite, come quella di Virgilio, provano un gran dolore anche per una lieve mancanza.
Ai piedi del monte, dove ora sono giunti, il Poeta ci delizia con un’altra perla di profonda umanità. Dante, alzando lo sguardo, vede la sua ombra solo davanti a sè; si volge a questo punto in preda allo sbigottimento e ad una naturale paura, credendo che Virgilio sia scomparso. Ma questi lo conforta, spiegando che i trapassati hanno corpi aerei (non fanno dunque ombra perchè lasciano passare i raggi), ma nonostante ciò soffrono tormenti, caldi e geli: è l’escamotage creato da Dante per inserire una riflessione di valore teologico ed universale, che porta su due piani diversi la ragione e la fede, che tanti (e in primis l’autore stesso) hanno provato, provano e proveranno ad unire in una sintesi forse impossibile. Impossibile perchè appartengono a due mondi diversi, l’uomo e Dio, ed è giusto che il primo ad un certo punto si fermi nella speculazione razionale. Vale la pena di riportare questi splendidi endecasillabi, che – come tanti altri nell’opera – accompagneranno per sempre il genere umano:
Matto è chi spera che nostra ragione
possa trascorrer la infinita via
che tiene una sustanza in tre persone.
State contenti, umana gente, al quia;
ché, se potuto aveste veder tutto,
mestier non era parturir Maria;
e disïar vedeste sanza frutto
tai che sarebbe lor disio quetato,
ch’etternalmente è dato lor per lutto:
io dico d’Aristotile e di Plato
e di molt’altri”; e qui chinò la fronte,
e più non disse, e rimase turbato.
Se fosse bastata la sola ragione umana, non sarebbe stata necessaria la venuta del Cristo e la Rivelazione: lo dimostra anche la condizione di spiriti dalla mente e dalla virtù eccelsa, come Aristotele e Platone, ma che non hanno conosciuto il Cristianesimo. A loro mancherà per sempre qualcosa; ed anche a Virgilio stesso, che con loro ritonerà nel Limbo. Nell’ultimo verso riportato, c’è tutto l’umanità e il destino del poeta romano.
Riprende ora l’azione vera e propria, con l’incedere dei passi e la vista di un gruppo di anime che lentamente avanza. Si muovono insieme, come pecore in un gregge. I poeti chiedono informazioni sul cammino (non prima che Virgilio anche a loro abbia spiegato che Dante è vivo e che il viaggio è voluto dall’Alto) e la loro richiesta viene accolta. Ma dal “gregge” di anime si sente una voce: chiede che Dante lo guardi in viso e lo riconosca. Quando ciò non avviene, l’anima si svela: è Manfredi, filgio di Federico II e nipote di Costanza d’Altavilla, caduto con onore nella battaglia di Benevento del 1266 contro l’esercito francese di Carlo d’Angiò per la corona del Regno di Sicilia.
Dante, come spesso accade, sembra voler conferire giustizia oltremondana ai personaggi che incontra. Manfredi morì da scomunicato (e il primo gruppo di anime incontrate appartiene proprio a loro), ma in fin di vita si rese a quei che volentier perdona; dovrà scontare un periodo nell’Antipurgatorio pari a trenta volte la durata della sua scomunica, ma chiede al Poeta che alla figlia Costanza venga detta la verità sul destino del padre e sulla possibilità di accorciare questo lungo periodo di “pre-espiazione” con la preghiera.
Al di là della probabile simpatia di Dante nei confronti di Manfredi, che dipinge con i classici tratti del cavaliere medioevale – valoroso ma umile – il messaggio è chiaro: l’ultima parola sull’uomo appartiene a Dio. Sono inefficaci le pronunce (quali bolle e scomuniche) della Chiesa sulla sorte oltremondana degli uomini: in ultimo, ci sono sempre le braccia misericordiose del Padre.