La donna che mi aveva contattato era convintissima di non avermi confuso con qualcun altro. “Ma no, sei tu Louis, vero? Vero?”
Pensai fosse passa e così l’assecondai. Certo, sono io, le risposi. Il telefono aveva squillato nel cuore della notte, io in preda al panico risposi inciampando in mezzo a tutti i vestiti sparsi a terra. La mia puttana dormiva nel letto a pancia in giù, un braccio a penzoloni e l’altro sotto il cuscino.
Avevo risposto col cuore in gola, pensavo che mia moglie mi avesse beccato. Sapevo che prima o poi sarebbe successo. Dissi “pronto” e dall’altro capo del telefono nessuno proferì parola, sentivo un lieve fruscio come il vento che soffia tra le foglie o qualcosa del genere. Pensai in quell’arco di tempo piccolo e brevissimo che in fondo non poteva essere mia moglie. Oh no, Julie a quell’ora stava dormendo, e poi nessuno – soprattutto lei – aveva quel numero di telefono, no? Quello della menzogna, quello dei giochi sporchi, del tradimento.
“Louis?”
“No, guardi, forse ha sbagliato numero…”, risposi, e intanto maledissi quella donna, chiunque fosse, per avermi fatto venire un mezzo infarto.
“No…Non può essere…Sei tu! Ho qui il tuo bigliettino…il tuo numero… Oh Louise!”
Sembrava così seria, così davvero felice di sentire la mia voce. L’assecondai, non potevo fare altrimenti. Quell’altra continuava a dormire e in fondo la questione stava incominciando a divertirmi. Magari avrei portato a letto un’altra donna, quella settimana, pensai sorridendo tra me e me.
Mi raccontò di quando io – o comunque di quando questo Louis – la invitò a cena avvicinandosi a lei e alle sue amiche un sabato sera in un locale. Di quanto fosse felice prima di uscire di casa, di quanto avesse meditato a lungo su che abito indossare, sul tipo di profumo da spruzzare al collo. Poi però quella sera ci fu un contrattempo, un incidente in autostrada e quindi l’unica via d’uscita percorribile totalmente bloccata. “Mi chiedesti di rinviare ed io a quel punto accettai, che altro potevo fare? E’ passato un anno, Louis, un anno! Non mi hai mai risposto quando ti chiamavo, il cellulare risultava sempre spento… Ma ora…ora sei qui. Incontriamoci, ti prego. Ti sto ancora aspettando, sono rimasta ferma a quella sera…”
Una donna fuori di testa. Non poteva trattarsi d’altro. Fuori di testa o così tanto innamorata. Beh, non che fossero molto diverse le due cose.
“D’accordo, incontriamoci.”
“Avrò un lunghissimo vestito rosso. E rosso sarà anche lo smalto alle mani, e la collana che indosserò. Dimmi…dimmi come sarai tu. Dimmi come ti vedrò.”
Di nero, dissi alla donna. Ad Anne, come poi mi disse di chiamarsi. Lei rossa ed io nero. Viene in mente un’accoppiata di colori più diabolica e lussuriosa?
Ci saremmo visti al Caffè degli Artisti l’indomani stesso, verso le cinque di pomeriggio. Mi vestii con un paio di jeans ed un maglione marrone. Piuttosto anonimo, a giudicare persino dai miei occhi stanchi e cerchiati, dai capelli arruffati. Lei c’era. Era proprio come s’era descritta. Vestita di rossa, molto elegante, affascinante, con un volto stanco ma bramoso di incontrare qualcuno. I suoi occhi guardavano ovunque potessero posarsi, e nonostante non fossi vestito come le avevo detto, sentii più volte brividi di paura. Temevo di essere scoperto. Dimenticai completamente che lei non m’aveva mai visto, che avevo a che fare con una donna fuori di testa. E quando lo ricordai mi sentii meglio.
Mi sedetti due tavoli dopo il suo. Il bar era incantevole. Usciva una musica classica rilassante dalle casse poste agli angoli del soffitto e i camerieri avevano il sorriso in volto. Se solo fossi stato innamorato di quella donna, se solo anche solo l’avessi conosciuta, sono sicuro che quello sarebbe stato il luogo d’appuntamento ideale.
Aspettai una qualche mossa da Anne, ma quella muoveva solo gli occhi. Con le mani non toccava nemmeno la tazzina da caffè, il libro dalla copertina nera poggiato all’angolo del tavolino.
Ordinai un the e quando arrivò lo sorseggiai lentamente, gustandomi se non la bevanda almeno l’impazienza negli occhi della donna.
Poi la porta s’aprì. Entrò un uomo vestito di nero. Con dei baffi perfettamente curati, i capelli tirati indietro. Proprio come avevo detto che sarei stato io.
Pensai: Louise.
Anne si alzò dal tavolo con l’entusiasmo in volto. Una donna in fiamme, con quell’abito rosso che incendiò il bar. Si buttò alle braccia dell’uomo, che dapprima sembrò imbarazzato e poi si lasciò prendere dalla gioia, o forse dall’amore.
Fu una scena così bella e straziante che mi alzai subito dalla caffetteria e me ne andai come un cane con la coda tra le gambe. Non so ancora se quella che provai fu tristezza o invidia, o forse…?