Mia madre se ne era andata da questo mondo in punta di piedi. La sua ombra sottile era sempre stata pallida, e io sin da piccola avevo pensato che non sarebbe vissuta a lungo”.
Una volta vorrei vederla, però, Buenos Aires. Per testare con i miei occhi se poi davvero, dietro tutto quel colore, si nasconde la malinconia di un’ombra. Ho visto anche io il musical di “Evita”, e imparato a memoria le canzoni di Madonna, come le protagoniste dei racconti di Banana Yoshimoto, e vorrei scoprire il silenzio nascosto dietro le lussuose residenze che circondano la tomba della grande Evita Peron.
Certo, il viaggio di Yoshimoto è qualcosa di molto diverso, lei non è una turista, e se accetti di seguirla, devi lasciarti trascinare come in un fiume, darle la mano e farti guidare senza domandare, perché faresti sicuramente le domande sbagliate.
Se, ad esempio, le storie di “La piccola Ombra” si leggono una di seguito all’altra, si potrebbe quasi affermare di poterle toccare, ma sarebbe solo un’illusione, perché lo spazio in cui ci si muove è fatto di nuvole impalpabili, e l’insieme lo si capisce solo mettendo al loro posto tutti i pezzi del puzzle. È colpa, o merito -dipende dalla prospettiva- di quella calda intimità che penetra dalle sue parole, che vibrano come un sussurro e ti danno l’impressione del vento di Aprile. Così pezzo dopo pezzo, si incastrano i tasselli mancanti, quelli che svelano le ombre della vita, proiezione della vita stessa. E il filo conduttore diventa il ricordo, malinconico, amaro, di paure che si nascondono come segreti gelosi, sentimenti che sfuggono dalle dita nel momento in cui li si avverte. Sono piccole ombre, o grandi mostri, a volte semplici verità, che le protagoniste di Yoshimoto ci mostrano con una delicatezza raffinata, leggera nel senso più profondo della parola, rendendoci partecipi di un frammento della loro vita. L’ombra si riflette, e diventa la protagonista dell’esistenza, lasciando quel senso amaro dell’incompiutezza, della ineluttabilità. Perché la paura non può essere sconfitta, e ancora, più dolorosamente, non può essere detta. Come la morte, che si dilata nel tempo di ogni racconto, il colore dell’Argentina, del Paraguay, del Brasile serve da contrasto alla vita, e allora ci accorgiamo che il messaggio di Yoshimoto non è quello della passiva accettazione delle nostre ombre, ma la verità assoluta che se esiste l’ombra esiste la luce, e le decisioni che imprimono la strada del nostro cammino sono il risultato di quel contrasto.
Sembra facile perdersi nel linguaggio di Banana Yoshimoto, così delicato, intimo e fragile, ma la struttura dietro le sue parole è solidissima, frutto di un ragionamento perfettamente lineare, completo. Ci rapisce, e ci porta con sé, in un viaggio nel labirinto umano.