Il tabacco consunto ad ogni tiro si mescolò al sapore secco del caffè attanagliando il fondo della lingua. L’itinerario gustativo che si concedeva ad ogni pausa pranzo non venne interrotto neanche quel giorno. Il nuovo collega d’ufficio era un fiume in piena e il Dott. Allevi ci stava bene in quel bagno di parole. Alla fine dell’anno era arrivato ad avere già tre “nuovi” colleghi. Nuovo…un aggettivo che aveva iniziato ad usurarsi a furia di calzare ciclicamente su ogni ultimo arrivato. Abitanti di un sottobosco sempre più sfuggente per regole e direttive; privo di guizzi di sorta volti a ravvivarne il colore.
A un certo punto, da superiore qual era, il Dott. Allevi decise di riprendere in mano la barra della conversazione e cambiarne la rotta:
«E la tua compagna è contenta di questo nuovo incarico?»
«Come? No, no… Ora come ora non potrei permettermi una fidanzata».
«Perché si affittano? Da quando in qua?»
«Dottore, lei appartiene alla vecchia guardia, certe cose…» troncando la frase e lasciandola proseguire con un eloquente scuotimento del capo. «Vede, oggi le cose vanno in maniera diversa e non si va oltre il secondo appuntamento! Le spiego: poniamo che sia estate. Le opzioni sono due: aperitivo in centro o pizza al taglio, con birra annessa. A meno che io non esca con una di quelle tipe in fissa con la linea; ma se solo iniziasse ad aggiungere alla triste insalata i gherigli di noce, al fine di equilibrare il fabbisogno calorico giornaliero, sarebbe la fine. L’orticaria mi verrebbe già prima di considerare il fatto che stia ordinando un prodotto fuori stagione. Accantoniamo l’estate. D’altronde è una stagione breve, passa in fretta.
Quadro successivo: l’inverno. E qui la cosa si complica. Aumentano le attività da fare al coperto e statisticamente anche gli appuntamenti. Una serata al cinema? D’accordo. Ma nel contempo devi accendere un cero, fare tutte le aspersioni del caso e pregare affinché te lo proponga per un mercoledì.
Perché proprio di mercoledì? starà pensando. Mercoledì uguale ingresso feriale a prezzo ridotto. Volendo potrei anche considerare il giovedì: giorno dello sconto rosa, anche se in quel caso ci andrei a perdere, meglio il mercoledì.
Ma la cosa che più di tutte costringe ad un vero e proprio letargo sentimentale è il prezzo della benzina, collega.
Lei mi propone un appuntamento al buio? D’accordo, ci sto! Ma prima deve dirmi il quartiere in cui abita. Si amico, anche prima del nome se è per questo. Perché se un “Si chiama Viola” può dirmi poco, un “ Lei? Dove abita? Mmm… mi sembra zona Flaminio!” mi dice tutto. E cosa? Si starà chiedendo. Semplice: la distanza rispetto a casa mia. E se anche solo in linea d’aria la distanza cozzasse con i miei parametri, non ci sarebbe verso. Il kilometraggio è la causa del suicidio di milioni di endorfine dal quinto piano del mio cervello».
Attonito, il Dott. Allevi assisteva alla foga con cui il collega attribuiva alla voce “storie a distanza” la più alta percentuale di disincentivi, corroborando il tutto con l’espressione “bilancio in passivo” che per un esperto del settore ha sempre l’abilità di raggelare e la capacità di far venir meno le gambe.
«Quindi? Quale sarebbe la migliore premessa per una splendida storia d’amore?»
« Facile! Essere vicini di casa!» caricando ogni sillaba di un urticante entusiasmo.
«Sono sconcertato… Tu sei un freno a mano vivente, figlio mio! Ostacoli ogni iniziativa, ma che è? E il quartiere, la pizza, il cinema… Ci mancava poco che ti mettessi con le braccia incrociate a dire: vecchia guardia, al giorno d’oggi l’X factor si misura in isolati. Ridi?»
«Si, mi fa ridere, Dottore».
Per nulla offeso il Dott. Allevi proseguì con la sua indagine:
«Ma tu ora dove vivi? Dividi la casa con qualcuno?»
«Io? Da un po’ di anni vivo in una sala travaglio. Divido le spese con la mia personale angoscia; ottima coinquilina, non ti abbandona mai! Unico inconveniente sono le suole delle scarpe; sì devo cambiarle spesso perché si consumano a furia di essere battute sul pavimento. Ah, poi ci sono quegli scampanellii continui… Ora, però, ho imparato: ad ogni falso allarme riesco a domare la danza del sangue e a decelerare i battiti; anche se non riesco a spiegarmi come mai i vagiti tardino a palesarsi.
So riconoscere indistintamente il rumore dell’orologio, quello cupo e potente nelle ore della notte e il suo perdersi in quelle del giorno. Ticchettii che macinano anni e assieme a loro la presunzione di avere ancora tempo. Il tempo… è un infingardo, non riesco più a quantificarlo. Da disoccupato, semplicemente, i giorni erano piccoli soldatini desiderosi di crepare sul fronte della disfatta, in attesa di rialzarsi il giorno dopo e poi quello dopo ancora. Oggi mi ritrovo a maneggiare un barattolo con una data di scadenza impressa a torchio. E quando è finito ed hai raschiato anche i bordi non riesci a sentirti mai sazio. Lei mi parla di una compagna? Beh. io vorrei solo cercare qualcuno che mi indichi l’uscita d’emergenza, perché so benissimo come sono arrivato fin qui: in primis con l’abbonamento dell’autobus scaduto e poi con i miei piedi».
Concluse il discorso con una di quelle risate che a contatto con le papille gustative della percezione lasciano un’impressione amara. Una risata che nasce e muore tra i denti che non permette alla testa di reclinare e, nel contempo, di posare alle spalle ogni preoccupazione. Nessun suono stentoreo, preposto alla dissipazione dei pensieri, a impedire la messa in moto del rammarico.
Il Dott. Allevi di istinto gli posò una mano sulla spalla, ma nel brusio indistinto dei nomi che gli sovvenivano, nessuno riuscì a svettare sulle pallide immagini degli altri. Lo sforzo si trasferì sulle labbra allentando per contrappasso la stretta della mano; prima o poi l’avrebbe imparato per dimenticarlo ancora e ancora.