– Ma sai Lorenzo…?
– Lorenzo chi?
– Lorenzo, il figlio di Antonio, dai… sai che ha avuto un incidente ed è sulla sedia a rotelle?
– …no…!
Ecco, più o meno è stato così. Ho letto quel nome ed è stato come se qualcuno avesse tirato fuori dai miei ricordi, a sorpresa, un viso che credevo dimenticato, collegandolo bruscamente al “mio” presente. Perché, vedete, io Lorenzo Amurri lo conosco da quando era bambino. E se lui –ove mai leggesse queste riflessioni- dovesse chiedersi “ma questa chi è?”, voglio rassicurarlo subito. L’ho conosciuto, insieme a Valentina, Roberta e Franco e la signora Milvia, attraverso i libri di suo padre Antonio (Famiglia a carico o Come ammazzare mamma e papà, non li avete letti? beh, vi siete persi qualcosa di esilarante).
Potrei dirvi esattamente il luogo e cosa stavo facendo quando ho conosciuto la famiglia Amurri, e cosa mi sarebbe accaduto di lì a poco: ricordo quando e come, e quanto ho riso con loro.
Quindi ho avuto un piccolo choc quando, dal nome sulla copertina, ho messo a fuoco la mia vecchia conoscenza. Niente se paragonato a quello che ho provato leggendo poi il libro.
La descrizione -chiara come le luci su un tavolo operatorio, decisa e netta come un taglio chirurgico, eppure calda di pelle viva- di come un ragazzo possa sprofondare in una “apnea” causata da un incidente gravissimo dalla quale riemerge con fatica e dolore e tempi lunghissimi, quella sì è un urto difficile da sostenere.
Lorenzo racconta il prima e il dopo, lascia fluire le frustrazioni e le paure, i sogni, la voglia di tornare alla vita e insieme di morire: la sua realtà è stata modificata in maniera irreparabile, i suoi circuiti bruscamente resettati e il back-up dell’esistenza “di prima” non serve che a rendere più difficoltoso il recupero di una vita nuova e diversa. Deve fare i conti con un corpo che ha chiesto bruscamente il divorzio dal suo “utente”, abbandonandolo, ma non del tutto: le braccia funzionano, le mani no (il che per un chitarrista non è cosa da poco); il cervello c’è tutto, dai capezzoli in giù il nulla, il pisello è “anarchico”. Bisogna fare i conti, raccogliere le forze, cercare soluzioni.
Da lontano negli anni, ma come se fosse accaduto ieri -e senza pudore né autocommiserazione- Lorenzo descrive il tormento rabbioso delle alterazioni nei rapporti: il sesso si trasforma in esercizio difficoltoso, cambia l’amicizia, si modifica il rapporto con Johanna, la sua fidanzata, e con i familiari. Ma la vera difficoltà sta nella riscoperta del mondo “fuori”, quello che il ragazzo ha lasciato spensierato, correndo su una pista da sci -musicista malgrado tutti, indisciplinato e ribelle- e deve ritrovare incatenato ad una sedia a rotelle, ma sempre ribelle, sempre indisciplinato. Una volta espulso dal bozzolo protettivo dell’ospedale che lo ha salvato, resta nudo e crudo davanti alla parte più complicata della sua rinascita: il collage forzoso tra il nuovo e il vecchio Lorenzo, con il nuovo che si impone e il vecchio che non arretra.
Leggendo, affondavo e riemergevo dai flutti della narrazione: nei miei ricordi è indelebile un ragazzo dai capelli rossi che portava un halo-vest (ma non vi spiegherò cos’è) e so quanto possano essere pericolose e divertenti (divertenti perché pericolose) le corse sulle sedie a rotelle nei corridoi deserti; ero una campionessa. In ospedale si annodano amicizie a vita, ci si rifugia e si vive a dispetto del male e degli altri. Leggere Apnea per me è stato anche avvertire il sapore metallico di un rancore sordo verso il mondo esterno, e la paura, sensazioni conosciute insomma.
Eppure, eppure.
Raccontato così, sembra un libro tetro, illeggibile; e invece devo dire un’ultima cosa, Lorenzo, e perdonerai la confidenza: lungo tutta la narrazione ricorre il rimpianto insanabile di non aver apprezzato (o forse abbastanza amato) la figura di tuo padre Antonio, ne senti la mancanza, ne cerchi la solidità in tuo fratello. Ma mi chiedo se tu sia consapevole di quanto lo si ritrovi nella tua scrittura, nell’ironia accuratamente affilata sulle pietre della vita, nella puntualità dell’osservazione mai banale di se stessi e degli altri.
La libertà di pensiero -alla fine- più che nella libertà di movimento sta nella libertà di riconoscersi. Anche in un padre mai abbastanza compreso.
Avviso per il lettore: alla fine della narrazione appare improvviso -ma non senza ragione- un breve racconto, poetico e incisivo, ma non andare a cercarlo prima di aver letto tutto, mi raccomando.