È insolito quanto in questi giorni l’interesse generale sia convogliato intorno alle elezioni del Presidente della Repubblica. È un interesse probabilmente nuovo e inaspettato, il prodotto di una crisi che ha colpito i già precari equilibri della nostra politica.
Nell’attesa il popolo del web ricorda e esalta la figura del 7° Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini, un uomo che conquistò a suo tempo la stima e l’affetto dei suoi contemporanei, un affetto che si è protratto fino ad oggi.
Basta leggere le frasi che vengono trascritte sui social network, frasi dette in un tempo ormai antico ma che risuonano come non mai attuali e necessarie al periodo storico che stiamo vivendo. Sono parole cariche di senso del dovere e di responsabilità, ma piene anche di quell’affetto che si prova per qualcosa che si è faticato ad ottenere. Sandro Pertini è stato definito da molti il più grande italiano del ‘900 proprio per le forze impiegate durante la sua esistenza per il nostro Paese.
Ho pensato così di riportare alcune parti del discorso di insediamento di Pertini al Quirinale per rileggere come si presentava al popolo italiano il Presidente della Repubblica più amato di sempre al momento della sua proclamazione.
Era il 8 luglio del 1978, la scelta del nuovo Presidente si protraeva dal 29 giugno e senza risultati si era giunti al 16° scrutinio, quello che con la più larga maggioranza mai ottenuta nella votazione presidenziale avrebbe dato il nome di Sandro Pertini con 832 voti su 995.
Il giorno seguente Sandro Pertini entrò nell’aula, l’Assemblea si alzò con vivissimi applausi accompagnati dal pubblico delle tribune. Le prime parole confermarono nuovamente la tempra morale del nuovo Presidente:
“Nella mia tormentata vita mi sono trovato più volte di fronte a situazioni difficili e le ho sempre affrontate con animo sereno, perché sapevo che sarei stato io a pagare […] Adesso, invece, so che le conseguenze di ogni mio atto si rifletteranno sulla Stato, sulla nazione intera.”
È un dato di fatto che chi governa abbia nelle sue mani il destino di tutti, è quasi un’ovvietà, ma, il fatto che un Presidente ribadisca questi concetti al suo primo discorso, spiega quanto sia necessario sottolineare la responsabilità che i ruoli governativi comportano.
Siamo di fronte ad un uomo che rispetta il popolo, le istituzioni e il suo Paese, una figura che parla di un’Italia che deve lasciare la strada delle armi per “la strada della pace che noi dobbiamo seguire”.
“Farò quanto mi sarà possibile perché l’unità nazionale si consolidi e si rafforzi.” L’esempio che qui a parlare non sia un uomo ma un Capo di Stato è evidente. La responsabilità di cui si è fatto carico poco prima si pone uno scopo, e umiltà e grandezza d’animo si svelano all’auditorio.
Non è un discorso di ringraziamento, ma una lezione di condotta morale per sé stesso e il Parlamento intero:
“è con questa unità nazionale che tutte le riforme, cui aspira da anni la classe lavoratrice, potranno essere attuate. Questo è compito del Parlamento.”
Sandro Pertini ricorda ai deputati l’importanza di un lavoro e di una casa, e “la disoccupazione giovanile deve soprattutto preoccuparci” dice “ se non vogliamo che migliaia di giovani diventino […] succubi di corruttori senza scrupoli”.
Sembra di leggere le parole di un contemporaneo ma sono parole invecchiate di trentacinque anni. Questo è un discorso universale che non ha colori o partiti, è un discorso per un Paese che ha bisogno di crescere.
Il rispetto del Presidente Pertini verso il popolo non ha confini, ci parla di libertà e giustizia sociale, un binomio per lui inscindibile. Solo attraverso questi due presupposti “ogni italiano sentirà sua la Repubblica, la sentirà madre e non matrigna.” Dunque una Repubblica giusta e incorrotta, che educhi i cittadini e che non li schiacci.
Più avanti nel discorso, Pertini saluta le forze dell’ordine, i connazionali all’estero e la magistratura. Un saluto che si traduce in sottomissione alle leggi e riconoscimento assoluto di queste, un insegnamento di grande umiltà, una lezione destinata ai suoi contemporanei, ma soprattutto ai posteri.
Sandro Pertini non ha mai dimenticato le sue origini, e come riuscirci considerando la sua storia passata, e di lui ci regala un brevissimo riassunto il giornalista Indro Montanelli, che in un articolo sul Corriere della Sera scrisse “Non è necessario essere socialisti per amare e stimare Pertini. Qualunque cosa egli dica o faccia, odora di pulizia, di lealtà e di sincerità.”
Il 7° Presidente della Repubblica è stato un uomo dai piccoli gesti, quelli di cui il cittadino ha bisogno per riconoscersi nelle istituzioni. Pertini non lasciò mai la sua casa romana per gli appartamenti del Quirinale, visse in una mansarda che affacciava sulla Fontana di Trevi, e, escluse le occasioni ufficiali, utilizzava l’utilitaria di famiglia per i suoi spostamenti. Un Presidente, ma prima di tutto un uomo che salutava con un sorriso per strada, un uomo la cui umiltà dovrebbe essere esempio oggi per il 12° Presidente della Repubblica e per tutti i politici, una figura della quale gli anni a venire avranno bisogno.
“Da noi deve partire l’esempio di attaccamento agli istituti democratici e soprattutto l’esempio di onestà e di rettitudine. Perché il popolo italiano ha sete di onestà. Su questo punto dobbiamo essere intransigenti prima verso noi stessi, se vogliamo poi esserlo verso gli altri. Non dimentichiamo, onorevoli colleghi, che la corruzione è nemica della libertà.”