L’aumento del tasso di suicidi a causa della disperazione indotta dalla crisi economica è ritornato oggetto di cronaca dopo la tragedia che ha colpito Civitanova Marche alcuni giorni fa. Eventi dolorosi che pesano sul destino collettivo di una comunità, forme di cesura della continuazione dell’esistenza che lasciano, in noi che leggiamo l’ultimo biglietto in cui si chiede perdono, un’amarezza inquieta ed uno sgomento che disgusta e deprime. Il senso di impotenza e di rabbia, tra chi era presente al funerale ed anche tra chi ha ascoltato o letto la notizia, è stato forse il sentimento più dilagante.
Benché viviamo in un tempo incerto, come sgonfiato di possibilità di significato e di prospettiva, il suicidio rimane un atto che turba. Tocca le categorie morali e religiose più profonde. E fa chiedere perdono. Sarebbe insopportabile svolgere sermoni, dopo tre suicidi seguiti dall’invocazione del perdono. Sembrerebbe un esercizio retorico ancora più deprimente collocare l’evento nella luce fredda di una citazione letteraria.
Credo, però, che non si possa trovare, oggi, una risposta più morale, umana e palpitante, e utile a meditare insieme l’accaduto senza che precipiti nella processione indifferente dei fatti quotidiani, della voce incredibilmente, paurosamente viva e vera ed emozionante di Giacomo Leopardi. Del quale tutti abbiamo imparato a scuola la visione tragica della vita e la meditazione suicidaria, a più riprese e in modi diversi. Nelle Operette Morali (la cui versione definitiva fu pubblicata proprio a Napoli nel 1835), c’è un dialogo molto filosofeggiante tra Porfirio e Plotino. Il primo intende togliersi la vita. E non per una particolare disgrazia che gli sia capitata. Ma per la noia, per la percezione atroce che tutto è inutile. Il secondo, che lo ama profondamente, intuisce l’intenzione dell’amico e vuole dissuaderlo. Il dialogo si avvia con l’accorato appello di Porfirio a non avere paura della morte, perché con essa la noia cessa. E soprattutto perché darsi la morte rimane l’unico, ultimo e vero atto di libertà. E’ contro natura, darsi la morte? Gli animali non lo fanno, solo l’uomo pratica il suicidio. Qui Leopardi raggiunge uno dei suoi vertici di pensiero. La natura umana si è rivestita dopo millenni di pensiero di una seconda natura. Che è un’altra cosa, dalla natura di tutte le altre creature. Plotino sembra non riuscire a trovare alcun valido argomento da opporre a Plotino. Ma alla fine del dialogo, ci arriva quella voce viva, una specie di balsamo e carezza che assorbe tutte le idee precedenti e le rende vane ed anche, forse, un esercizio della mente fastidioso. Plotino implora Porfirio di non togliersi la vita per due ragioni. Che sembrano banali. La prima: non abbandonare nel dolore chi resta, la famiglia, gli amici, le relazioni che ci tengono insieme. La seconda: farsi compagnia nell’esperienza della vita e farsi compagnia nell’esperienza della morte. Non rimanere isolati. Sostenersi l’uno con l’altro. Stringersi e parlare.
Viviamo, Porfirio mio, e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte, che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l’un l’altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente, per compiere nel miglior modo questa fatica della vita. La quale senza alcun fallo sarà breve. E quando la morte verrà, allora non ci dorremo, e anche in quell’ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteranno; e ci rallegrerà il pensiero che, poi che saremo spenti, essi molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora.
Tutto questo, oggi, isolati nelle case, ossessionati dalla mancanza di avvenire, schiacciati da vergogne stupide, è possibile? Oggi è il tempo della comunità civile, non dello Stato, non delle Chiese. E’ il tempo di reinventarsi lo stare insieme per ascoltarsi e incoraggiarsi. Per dividere il pane. Per farsi carico, concretamente, delle necessità e dei bisogni di chi non ce la fa. Per intervenire prima che qualcuno debba chiederci perdono della sua disperazione. Per fare come Porfirio, che comprende l’intenzione suicida di Plotino prima di qualsiasi parola.