E’ stato molto complicato fissare questo incontro. Per riuscirci ho dovuto perfino mentire sulla mia identità.
Mi aspetta nella hall dell’albergo. Non lo tollero, anche oggi ha il mio cappello da cowboy in testa e l’espressione di chi vuole farla franca e la cosa non è di buon auspicio. Sarà molto dura, lo sento. Non mi fido per niente dei suoi occhi azzurri e dei riccioli biondi. Il fatto che sia più alto di me e abbia le braccia grassocce, depone male, molto male. Mi avvicino a passi lenti, ho perso tutto il coraggio che mi ha fatto arrivare fino a qui.
Quando intravedo il collo della pistola nella tasca del suo jeans, mi vengono i brividi, vorrei tornare indietro, ma è troppo tardi. Questa potrebbe essere la mia ultima occasione. Nonostante gli occhiali da sole, mi riconosce subito. Si vede da come sorride, indisponente, pieno di se, come chi ha già vinto. Mi fermo al centro della hall, i miei piedi sembrano fissati nel cemento. Non riesco ad andare avanti. Temo che la differenza netta di centimetri non mi aiuterà molto! Adesso ho paura, davvero. Non ho neanche il tempo di prendere la mia pistola che mi arriva uno schiaffo. Sapevo che non dovevo fidarmi di lui. Avevamo stabilito di combattere solo con le armi e invece non ha perso tempo ad allungare le mani, con la solita arroganza. Il dolore mi arriva al cervello ma resto impassibile.
Avanti reagisci. Lo vedi che sei un vigliacco. Fatti avanti se hai coraggio. Non sei il fratello maggiore? Avanti, vediamo se riesci a riprenderti il tuo cappello.
Non riesco a muovermi, né a parlare. Dovrei farlo. Non fosse altro perché sono più grande di lui.
Mi tremano le mani e lui se ne accorge. E ridacchia sotto i baffi finti!
Mi tolgo gli occhiali da sole e lo guardo fisso negli occhi, il mio sguardo non regge il suo per più di un secondo e me li rimetto subito. Oggi sono troppo malinconico per assumere un’espressione inferocita. Non è una buona giornata, l’ultimo giorno di vacanza mi fa sempre uno strano effetto.
D’improvviso sento un colpo sulla spalla. Sobbalzo, ma mi riprendo subito. E’ mia madre.
Venite in sala ristorante, è ora di cena. Quanto volte vi ho detto di smetterla di giocare a cowboy nella hall. E tu Francesco levati gli occhiali da sole sono le nove di sera!
Io e mio fratello Mattia seguiamo mia madre. Abbiamo fame. Mi tocco la guancia, ho ancora dolore, lui ridacchia. E accarezza fiero il mio cappello da cow-boy.
Per oggi è andata così. Ma la pagherà.
Mi siedo a tavola. Adesso lo guardo negli occhi con tutta la cattiveria possibile, quando sono a tavola la paura e la malinconia mi sembrano lontane. Domani alla stessa ora nell’hall, gli dico a bassa voce. Nello stesso momento mi ricordo che domani mattina ripartiamo.
Mattia mi fa una smorfia mentre continua a masticare vorace la cotoletta.
Poi si leva il mio cappello da cowboy e lo stringe fra le braccia. Un pezzo di cotoletta arriva sulla falda.
Prima che io riesca a dire qualcosa mia madre, con le mani unte dalle patatine fritte, gli leva il cappello dalle braccia e se lo mette in testa. Mio fratello trattiene a stento le lacrime.
Mia madre mi sorride, con l’aria di chi ha risolto appena un problema.
Io mi giro dall’altra parte. Se lo tenga pure lei il mio cappello da cowboy unto e macchiato.
Non mi piace più.